Entro le prossime due settimane quasi tutti gli operatori del settore finiranno la cassa Covid e non potranno accedere a quella ordinaria poiché imprese per cui lavorano non sono tecnicamente in crisi. Il lavoro è poco perché gran parte dei dipendenti è ancora in smart working. Una situazione che riguarda anche grandi aziende come Telecom, Vodafone, Piaggio, Bnp Paribas o Eni. La segretaria nazionale della Filcams Cgil Cinzia Bernardini: "Il governo dice che la questione verrà affrontata in sede di riforma degli ammortizzatori. Ma i dipendenti rischiano di rimanere senza soldi dalla sera alla mattina"
Sono circa 8mila, per lo più donne, gli addetti alle mense aziendali che rischiano di rimanere senza stipendio da metà ottobre in poi. È uno degli “effetti collaterali” dello smart working, a cui sinora il governo non ha dato nessuna risposta nonostante i ripetuti allarmi dei sindacati. Il settore è stato e rimane tra i più colpiti dall’emergenza sanitaria e in questi mesi ha fatto quindi massiccio ricorso alla cassa integrazione Covid. Da domenica 10 ottobre alcune aziende hanno iniziato ad esaurire gli ammortizzatori a disposizione ed entro le prossime due settimane quasi tutti gli operatori raggiungeranno il tetto massimo. Al momento, non è alle viste alcuna proroga da parte del governo. L’esecutivo ha però prolungato lo stato di emergenza fino al 31 dicembre prossimo, il che ha consentito alle grandi aziende del terziario di rimandare il ritorno in presenza. In queste condizioni, naturalmente, le mense aziendali servono e funzionano poco e i lavoratori si trovano “disoccupati”. A rischio sospensione sono anche i dipendenti di fornitori di servizi per gruppi come Vodafone, Piaggio, Bnp Paribas o Eni.
Il prossimo 31 ottobre terminerà anche il blocco dei licenziamenti (prorogato fino a questa data solo per alcuni settori) e i sindacati hanno già ricevuto le prime indicazioni dell’intenzione di alcune aziende di aprire procedure di licenziamenti collettivi. Una volta scaduta la cassa Covid, anche le imprese che volessero farlo non possono infatti ricorrere gli ammortizzatori ordinari, che possono essere attivati solo su richiesta del committente. Non si tratta infatti di imprese colpite da una crisi aziendale ma, semplicemente, di società che hanno meno bisogno di pasti per i dipendenti e di servizi di pulizia degli uffici. Così i lavoratori che forniscono queste prestazioni finiscono in “sospensione”, senza busta paga. Un bel pasticcio insomma.
Come spiega a Ilfattoquotidiano.it la segretaria nazionale della Filcams Cgil, Cinzia Bernardini “in più occasioni abbiamo sollecitato il governo a intervenire. La risposta è stata che la questione verrà affrontata in sede di riforma complessiva degli ammortizzatori. Ma nel frattempo migliaia di lavoratori, in gran parte donne con part time involontario, rischiano di rimanere senza salario”. Bernardini sottolinea come il ricorso al lavoro da casa sia destinato a diminuire nel tempo ma che difficilmente si tornerà alla situazione precedente alla pandemia. Quindi il settore dev’essere riorganizzato, i lavoratori riqualificati o accompagnati verso la pensione. Alcuni fornitori già si stanno adattando al nuovo contesto, ad esempio proponendo un servizio a domicilio con “lunch box” per i dipendenti che lavorano da casa. “Ci stiamo muovendo, stiamo facendo il possibile per adattarci ad una situazione che è cambiata molto e velocemente. Ma per farlo ci servono aiuto e tempo mentre qui i dipendenti rischiano di rimanere senza soldi dalla sera alla mattina”, rimarca la segretaria nazionale.
Eni San Donato: da 8mila a mille pasti al giorno – Un esempio? L’Eni a San Donato, periferia di Milano, ha uno dei suoi quartieri generali. Qui, prima della pandemia, lavoravano complessivamente al servizio di ristorazione 170 persone, per l’80% donne. Oggi sono meno della metà: parte del personale lavora a rotazione e gran parte del tempo lo si passa in cassa Covid. Così ormai da un anno e mezzo. “Prima della pandemia servivamo circa 8mila pasti al giorno nelle 4 mense del polo Eni di San Donato, oggi non arriviamo a mille“, racconta a IlFattoquotidiano.it Lucia Sesto, delegata sindacale Filcams-Cgil che lavora nel settore da 35 anni.
Fino alla fine dell’anno di sicuro le cose non cambieranno, cosa accadrà dopo nessuno lo sa. “La stessa azienda non è in grado per ora di fare previsioni sul ritorno in ufficio del personale una volta terminato il periodo di emergenza”, continua Sesto, che aggiunge: “Nel frattempo abbiamo riorganizzato il servizio con lunch box che vengono portati direttamente negli uffici, evitando così la concentrazione di personale in mensa e problemi con dipendenti che non hanno il green pass”. La rappresentante sindacale dubita però che si potrà mai tornare ai livelli precedenti la pandemia. Nel frattempo la Cig Covid si sta esaurendo. “L’azienda ci è venuta incontro dandoci la possibilità di attingere ai Tfr ma naturalmente si tratta di un rimedio temporaneo, che non risolve il problema. L’auspicio mio e di tutti i lavoratori del settore è che il governo si accorga finalmente di questo problema e preveda qualche sostegno nella legge di bilancio“, ragiona Lucia Sesto. L’azienda che fornisce il servizio ad Eni ha dovuto fronteggiare una serie di chiusure definitive di mense di aziende più piccole. Fortunatamente sinora è sempre riuscita a ricollocare il personale, appoggiandosi anche agli ammortizzatori ha evitato licenziamenti. Ma il futuro rimane connotato da una grandissima incertezza.
A fine anno scade anche il contratto di appalto per la ristorazione di Eni ma il gruppo, controllato al 30% dal Tesoro (il 25% attraverso Cassa depositi e prestiti), ha fornito rassicurazioni ai dipendenti sul ricorso alla clausola sociale. Qualora dovesse essere scelto un altro fornitore, i lavoratori non perderebbero quindi il posto ma verrebbero occupati dal nuovo commissionario. La clausola sociale impone infatti all’azienda che subentra nell’appalto di continuare ad impiegare lo stesso personale, o almeno una parte di esso, che vi operava in precedenza. Questo a meno che il fornitore che ha perso l’appalto non sia in grado di ricollocarlo.
Telecom e il cambio di appalto – A fine 2020 è scaduto l’appalto di un altro colosso industriale, Telecom Italia. in cui lo Stato ha una partecipazione del 9,8% attraverso Cassa depositi e prestiti. L’appalto non è stato rinnovato, il gruppo ha poi deciso di affidarsi ad un altro fornitore in vista del ritorno dei dipendenti negli uffici. Al servizio di ristorazione Telecom lavorano 300 persone. Il gruppo afferma a Ilfattoquotidiano.it di aver inserito nel nuovo contratto di appalto un riferimento esplicito alla clausola sociale prevista dalla legge. Salvaguardando quindi i lavoratori. Il nuovo fornitore del servizio dovrà attingere ai dipendenti del vecchio per predisporre la ristorazione. I sindacati però non sono del tutto tranquilli. Secondo quanto riporta Filcams, alla richiesta fatta a Telecom di visionare il bando di gara, ai sensi della legge 241/99 sulla trasparenza degli atti, non è seguita sinora alcuna risposta. Per questa ragione oggi si terrà un presidio davanti alla sede napoletana del gruppo.
Nei giorni scorsi il ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Andrea Orlando, intervenendo in collegamento video a Lecce al convegno “Women’s equality festival” ha affermato che “l’organizzazione dello smartworking va ripensata, ed è molto importante in questo senso la contrattazione di secondo livello (quella che avviene nelle singole aziende, ndr), la realizzazione di forme di welfare aziendale che siano legate all’organizzazione del lavoro. Lo smartworking non è la soluzione ma una modalità dell’organizzazione, in alcuni casi verrà potenziata dopo il Recovery perché si è visto che offre delle possibilità”. In precedenza Orlando aveva auspicato un accordo quadro a livello nazionale per regolare la materia. Il ministro ha poi aggiunto: “Ci rendiamo conto che dove esiste una rete di supporto alla famiglia e un welfare che funziona l’occupazione femminile è molto più alta. Credo che questa sia la strada su cui si deve proseguire coinvolgendo di più la rappresentanza del movimento delle donne”.