Il Consigliere Generale per gli italiani all’estero negli Usa Vincenzo Arcobelli (mio carissimo amico) mi ha inviato ieri in copia una lettera da lui inviata al sindaco di Dallas nella quale, ricordando in particolare i meriti della comunità italiana in Texas, paventa il timore che la decisione presa dalla Giunta Comunale di Dallas di intitolare la festività del Columbus Day di quest’anno alla festa dei Nativi del continente americano, anziché al celebratissimo navigatore italiano, avrebbe dato un grosso dispiacere ai circa 500mila italo-americani attualmente residenti in Texas.
Poiché anche quest’anno il nutrito gruppo di italiani della grande area urbana di Dallas e dintorni si apprestava a fare la consueta sfilata con le bandiere, i costumi, la piacevole allegria e la musica che accompagna sempre questa festività nella località dello storico Continental Bridge Avenue, questa notizia dell’ultimo minuto mi sembrava molto preoccupante.
Benché non fosse del tutto nuova la notizia del cambiamento, già avvenuto da qualche anno in altre città americane, l’attuale decisione della giunta di Dallas, con la quale la nostra comunità ha sempre avuto un ottimo rapporto, ha lasciato i nostri connazionali un po’ sbigottiti.
A questo punto penso però che l’amico Arcobelli si sarà già chiarito col sindaco. Come ho potuto appurare personalmente la decisione non è della giunta texana di Dallas, che anzi ha sempre avuto un grande riguardo per la nostra comunità, ma nientemeno che del presidente Joe Biden, che l’ha firmata l’8 ottobre (insieme a molte altre decisioni) nella “A Proclamation of Indigenous Peoples’ Day, 2021” emanata direttamente dalla Casa Bianca, che chiunque può leggere. In essa riconosce il valore dei popoli indigeni e l’importanza della loro cultura, naturalmente insieme alle grandi sofferenze e privazioni subite dopo l’arrivo dei bianchi.
Questa però, come Biden dice nel suo messaggio, è una promessa che aveva già fatto nella prima settimana del suo insediamento e che, già in precedenza, ha in parte mantenuto nominando sua segretaria per gli Interni Deb Haaland, di origini indigene.
Le motivazioni che circolano ancora su alcuni media di una rimozione dovuta alla ferocia e voglia di dominio con cui i nativi sono stati privati delle loro terre, addossandone la colpa a Cristoforo Colombo, è comunque fuori luogo. Cinque secoli fa quella ferocia c’era ovunque, anche in Europa, e fin dai tempi dell’impero romano. Alcuni popoli, meglio armati e organizzati, assoggettavano gli altri facendo stragi, conquistandoli e sottomettendoli. Meno di un secolo fa, in Europa, ci ha provato persino Hitler, e ci è quasi riuscito. Ai neri d’Africa è andata anche peggio: rapiti dalle loro terre e portati schiavi nel nuovo continente. Anche dopo la liberazione di Abramo Lincoln in molti Stati del sud la segregazione è durata fin dopo la morte dei due Kennedy e di Martin Luther King.
Cristoforo Colombo non era nemmeno un militare, ma un grande navigatore poi nominato Viceré dalla regina di Spagna. Comandava la spedizione ma ad un certo punto, nel secondo viaggio, si sarebbe ribellato ai troppi soprusi commessi dai militari e il capo militare della spedizione lo avrebbe messo in catene e rispedito in Spagna. Certe accuse dimostrano solo l’ignoranza di chi le fa.
È pertanto priva di sostanza la notizia che la festa del Columbus Day è sostituita da quella per onorare i nativi. Le due feste cadono nello stesso giorno ma possono benissimo convivere, finalmente!
Modificare la storia non si può. Giudicare quello che è avvenuto nei giorni bui dei secoli scorsi come se fosse avvenuto ieri non ha senso. Ha senso invece convivere pacificamente secondo i propri meriti riconosciuti oggi.