Marco Carrara non ha ricordi di sé da non appassionato di tv. Da bambino era uno di quelli che «conduceva» i giochi con i suoi cugini, poi è diventato un ragazzino appassionato di edizioni straordinarie, tecnicismi e titoli di coda. Così, appena ha potuto, ha tentato il grande salto e da neo-diciottenne è approdato tra gli analisti di TvTalk. «Quello è stato il mio master di lusso, un learning by doing, come dicono gli inglesi, che mi ha fatto capire che avrei potuto trasformare il mio sogno in lavoro», racconta a FQ Magazine il giornalista. Oggi di anni ne ha 29, da nove edizioni è la spalla dei conduttori di Agorà, il talk politico del mattino di Rai3, e da tre conduce in solitaria Timeline, l’approfondimento del sabato mattina su un fatto o un personaggio legato ai social.
Con Marco Carrara inizia Da Grande, il ciclo di interviste dedicate ai volti emergenti della tv.
Tra edizioni estive e invernali è la sua nona volta ad Agorà. Il primo giorno in video come lo ricorda?
Con preoccupazione e terrore. Avevo 25 anni e continuavo a ripetermi: «Ce la farò?». Arrivai per una sostituzione estiva e mi chiesero di raccontare i social, era un esperimento nuovo e lo vivevo con grande senso di responsabilità. Dovevo restare a Roma per due mesi e invece sono lì da cinque anni.
Andare in diretta tutti i giorni cosa le ha insegnato?
All’inizio era quasi una violenza vedersi in video tutte le mattine, poi ho capito che era solo una parte del lavoro. Agorà è una continua scuola di giornalismo e di politica. Gestire le breaking news è una formazione pazzesca.
Cosa sognava da piccolo?
Non avevo un sogno preciso ma era comunque legato alla tv. Non ho ricordi di me da non appassionato di tv. Mi piaceva tutto, non solo l’intrattenimento, ero malato delle edizioni straordinarie. E mi divertivo a condurre i giochi con i miei cugini, a inventare situazioni che mi facessero stare su un palco.
Coltivava la passione e un certo narcisismo…
Chi nega la componente narcisistica, è falso. Basta che non scavalchi la voglia di intrattenere, divertire o informare. Più che la visibilità, oggi mi interessa fare qualcosa di bello, di importante e di farlo al meglio.
Conta più la fortuna o la preparazione?
Entrambe le cose. Di recente ho visto un’intervista a Raffaella Carrà che diceva: «Sono stata fortunata ma se non mi fossi fatta trovare pronta, quella fortuna non avrei saputa coglierla». Queste parole mi hanno colpito molto. La mia fortuna è stata di incontrare degli adulti che si sono fidati di un giovane con tanta passione e poca esperienza: tra i primi Massimo Bernardini poi Stefano Coletta e Giovanni Anversa, oggi invece Franco Di Mare e la sua vice Elsa Di Gati.
Aveva 18 anni quando bussò alle porte di Tv Talk.
Ero un diciottenne che non vedeva l’ora di fare Tv Talk. Mi sono presentato dicendolo chiaramente: «Eccomi, sono un malato di tv». Ho fatto l’analista, poi il redattore, l’inviato e social media manager del programma. È stato un percorso a tasselli, una scuola televisiva, un learning by doing continuo. Intanto mi sono laureato in Comunicazione digital e pubblicità alla Iulm con una tesi su tv e social, preconizzando inconsapevolmente ciò che avrei fatto ad Agorà.
A chi vuole diventare conduttore tv che consiglio darebbe?
In tanti ragazzi mi scrivono sui social e a tutti dico sempre: «Provaci, vai a Tv Talk». E poi di vivere ogni esperienza come se fosse la più importante. Anche le cose più piccole vanno fatte bene e dieci anni dopo ti possono tornare utili.
Lei ha 29 anni ed è uno dei volti emergenti del piccolo schermo. È sotto gli occhi di tutti che il ricambio generazionale nella tv italiana è fermo da tempo. Secondo lei perché?
Perché si sperimenta meno, perché c’è meno voglia di rischiare, perché il «largo ai giovani» tout court è solo uno slogan vuoto se non ci sono gli adulti che credono in te. E perché il conduttore alla “signore e signori, buonasera” è come il panda: va tutelato.
Si spieghi meglio.
Il modo di intrattenere e informare è stato completamente rivoluzionato. Oggi vanno di moda i creator, i creatori di contenuti che sui social riescono a mescolare informazione e intrattenimento. E questo mix sta arrivando anche in tv dove vince la contaminazione, i personaggi forti, chi sa usare linguaggi diversi. Basti pensare che Le Iene ha scelto Elodie e altre nove donne dal vissuto importante. O analizzare il successo di Valerio Lundini o di Michela Giraud. Le categorie standardizzate non bastano più, ha successo chi spazia tra radio e tv come Ema Stokholma o Andrea Delogu, e nel suo caso c’è anche la recitazione.
Il successo dei personaggi nati sui social in tv è comunque residuale. Perché?
Perché sono due palcoscenici diversi e non sempre complementari. Però penso che i social siano uno strumento straordinario, molto democratico perché permettono a tutti di avere un pubblico e di mettersi in gioco anche stando nella propria stanzetta.
Purtroppo, c’è poi il lato negativo: un impastato di odio e superficialità.
Certo, ed è esecrabile. Però senza i social non sarebbero esplose potenti campagne come il Black Lives Matter. A Timeline sento il dovere di raccontare storie importanti, tutte le sfaccettature positive fatte di inclusione, attivismo e personaggi che provano a cambiare il mondo, ognuno a proprio modo.
Qual è l’ospite di Timeline che l’ha colpita di più?
Se volessi fare il figo direi uno dei premi Strega che hanno accettato l’invito. Ma mi rendono più orgoglioso le storie che i nomi importanti. L’idea è di raccontare quelle virali che ancora non sono arrivate in tv. Mi ha emozionato molto quella di una maestra che in piena zona rossa, con l’Italia chiusa, girava in bicicletta e portava a casa dei suoi alunni i libri di favole. Fare da megafono all’Italia più bella è una gran bella soddisfazione.
L’ospite dei desideri invece qual è?
Forse Veronica Lario. Perché è irraggiungibile e mi affascina molto la sua storia. Mi piace coltivare uno sguardo laterale sulle cose.
Lavorare con Serena Bortone com’è stato?
Una scuola di giornalismo e di politica. Serena mi ha insegnato a non bucare mai la notizia.
Da Luisella Costagnama cos’ha imparato?
Lei ha una formazione che punta molto sull’approfondimento di un tema. Con lei ho imparato ad entrare dentro un fatto. Non ci conoscevamo ma in poco più di un anno la sintonia tra di si è rafforzata.
Risponda di getto: lei appare sempre sorridente e gentile. Ma un lato più «cattivo» ce l’ha?
(ride) Cattivo no ma nemmeno perfetto. E poi dico un sacco di parolacce.
Stufo di svegliarsi alle 4.40 da cinque anni?
Diciamo che è massacrante ma siamo in migliaia a svegliarci a quell’ora. Ed è un privilegio farlo per andare a lavorare in tv.
Stefano Coletta l’ha scelta per andare in video, l’ha mai chiamata per passare a Rai1?
No, mai. Però ho ricevuto proposte da altre reti. Ma sono un alunno di RaiTre e sto bene dove sto.
Un sogno professionale per il futuro?
Mi piacerebbe condurre un programma che mischi informazione e intrattenimento in maniera inedita e spinta, un progetto con due anime. Credo che la contaminazione sia la chiave più contemporanea per raccontare il paese.
*Foto Nicolò Impallomeni