Il presidente Inps, davanti alla commissione Lavoro della Camera, ha confermato la propria proposta dicendo che è "pienamente sostenibile" perché non comporta nel medio periodo nessun aggravio per le casse dello Stato. A 63-64 anni si potrebbe chiedere una prestazione di importo pari alla quota contributiva maturata alla data della richiesta, per poi avere la pensione tutta intera al raggiungimento dell’età di vecchiaia. Cgil: "Su quota 41 dati sovrastimati"
L’ipotesi di versare a chi vuole andare in pensione in anticipo solo la quota contributiva – mentre la parte retributiva arriverebbe al compimento dei 67 anni – è “pienamente sostenibile” perché non comporta nel medio periodo sostanzialmente nessun aggravio per le casse dello Stato. Il presidente Inps, Pasquale Tridico, lo ha rivendicato davanti alla commissione Lavoro della Camera, difendendo la sua proposta alternativa a “quota 41” sostenuta dai sindacati e dalla Lega (in sostituzione di quota 100 che scade a fine anno). Quest’ultima secondo Tridico costerebbe nel 2022 4,33 miliardi e il conto salirebbe negli anni successivi fino a 9,75 miliardi, per poi iniziare una lenta discesa a 9,2 miliardi nel 2031.
L’idea di Tridico è che si potrebbe dare ai lavoratori che hanno iniziato a lavorare prima del 1995 e ricadono dunque nel “sistema misto” la possibilità di accedere a 63-64 anni – tetto comunque suscettibile di adeguamento alla speranza di vita – a una prestazione di importo pari alla quota contributiva maturata alla data della richiesta, per poi avere la pensione tutta intera al raggiungimento dell’età di vecchiaia. I requisiti sarebbero essere in possesso di almeno 20 anni di contribuzione e aver maturato al momento della scelta una quota contributiva di pensione di importo pari o superiore a 1,2 volte l’assegno sociale. Per le casse pubbliche ci sarebbe un aggravio di circa 2,5 miliardi per i primi tre anni ma in seguito, a partire dal 2028, si registrerebbero risparmi di spesa. Nel 2022 potrebbero accedere a questo strumento 50mila persone per una spesa di 453 milioni mentre nel 2023 potrebbero accedere 66mila persone per 935 milioni. Gli anni con il costo più sostenuto sarebbero il 2024 e 2025 con oltre 1,1 miliardi l’anno e 160mila uscite nel biennio (332mila dal 2022 al 2027).
La pensione così strutturata spetterebbe fino al raggiungimento del diritto a quella di vecchiaia. In quel momento il lavoratore potrà accedere al trattamento pensionistico costituito dalla somma della quota retributiva e della quota contributiva. Il pensionamento solo contributivo sarebbe “parzialmente cumulabile con i redditi da lavoro dipendente e autonomo” e sarebbe possibile ancorare la prestazione a futuro meccanismi di staffetta generazionale. La prestazione invece sarebbe incompatibile con trattamenti pensionistici diretti, trattamenti di sostegno al reddito, reddito di cittadinanza, Ape sociale e indennizzo per la cessazione dell’attività commerciale.
Il presidente Inps ha anche confermato che ci saranno 30 codici in più, oltre ai 15 esistenti, per le attività gravose che daranno accesso all’Ape sociale, l’indennità per i lavoratori che sono in difficoltà a partire dai 63 anni in attesa dell’accesso alla pensione. Tra queste attività ci sono i conduttori di impianti, i saldatori, gli operai forestali ma anche gli operatori della cura estetica.
I numeri portati da Tridico in audizione lo hanno messo in rotta di collisione con i sindacati. Secondo il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli “le previsioni di spesa dell’Inps sulla possibile uscita con 41 anni di contributi, superiore a 9 miliardi come punta massima, sono decisamente sovrastimate“. Sono infatti previsioni che considerano “che tutti i lavoratori in possesso di questo requisito esercitino il diritto, quando l’esperienza concreta ci dice che in questi casi gli utilizzatori sono meno della metà”, spiega il responsabile previdenza pubblica della Cgil nazionale, Ezio Cigna. “Per noi il picco massimo di spesa annua non supererebbe il miliardo e mezzo, e pertanto questo intervento sarebbe sostenibile”. Per Ghiselli “è positivo che il Presidente dell’Inps ribadisca l’esigenza di una maggiore flessibilità in uscita, e in particolare apprezziamo le proposte che prevedono la possibilità di pensionamento ben prima dei 67 anni con 20 anni di contributi e avendo maturato una pensione superiore a 1,2 volte l’assegno sociale”, ma “noi pensiamo che sia opportuno e sostenibile, dopo 62 anni, andare in pensione con la liquidazione dell’intero importo maturato”. Sull’estensione delle tutele alle categorie rientranti nell’Ape sociale, il segretario si dice a favore di un’estensione a tutti i disoccupati di lunga durata e ai lavoratori impiegati in attività gravose.