Come hanno vissuto negli ultimi 18 mesi gli anziani ospiti delle Rsa che sono sopravvissuti al Covid? Se lo sono chiesto in molti, in pochi hanno provato a misurarlo. Due esempi, differenti, vengono dal Trentino. Il progetto sperimentale condotto dal direttore alcune strutture, Livio Dal Bosco, in collaborazione con la psicologa e neuropsicologa Giulia Decarli nelle APSP Residenza Valle dei Laghi di Cavedine, APSP Opera Romani di Nomi e APSP Margherita Grazioli di Povo, ha provato a misurare l‘impatto psicologico della separazione prima e degli incontri schermati poi su ospiti e familiari, per passare a quanto successo con il ritorno in presenza la scorsa primavera.

“Sappiamo che i vissuti d’ansia e le preoccupazioni percepiti reciprocamente dai familiari e dagli anziani si ripercuotono e amplificano negativamente nella relazione”, si legge in un documento che illustra i primi dati raccolti. “Gli ospiti e i familiari percepiscono ed assorbono reciprocamente lo stato di malessere. Gli anziani hanno mostrato, infatti, maggiore agitazione psicomotoria, minore collaborazione, tendenza all’isolamento con il personale”, sottolineano i medici aggiungendo che “l’anziano spesso considera il personale il colpevole per la situazione vissuta. Questo ha fatto rilevare due atteggiamenti differenti negli ospiti: incremento dell’oppositività e dell’aggressività verbale e fisica; maggiore trascuratezza personale con apatia e frequenti episodi di assopimento”.

Per valutare l’effetto benefico della visita sull’ospite, prima con barriera e poi con contatto, i medici hanno indagato anche la presenza di alterazioni del ritmo sonno e veglia, inappetenza, disturbi del comportamento, tendenza all’isolamento, fluttuazioni del tono dell’umore, trascuratezza personale. I sintomi sono andati progressivamente attenuandosi via via che l’isolamento veniva ridotto fino a calare del 78% nella fase tre, quella delle visite in presenza, quando “si è riscontrata una diminuzione di inappetenza, disturbi del comportamento e tendenza all’isolamento”.

Nel suo report annuale Indicare Salute cui aderiscono 33 strutture trentine, invece, l’Unione provinciale istituzioni per l’assistenza (Upipa) raccoglie e analizza indicatori come il numero e la tipologia di cadute, l’utilizzo delle cosiddette contenzioni, l’alimentazione e l’uso di psicofarmaci. Ebbene nell’anno della prima ondata, il 2020, le strutture rilevano per esempio un aumento medio delle cadute in stanza e una riduzione di quelle negli spazi comuni, che “rispecchiano la riduzione delle opportunità di movimento dei residenti durante l’emergenza”. Fattori che hanno comportato anche un aumento delle piaghe da decubito anche in residenti a basso rischio.

Quanto alle contenzioni, “a fronte di un numero costante di persone contenute, (positivo che non ci sia stato un aumento), si sono ridotte le revisioni e le rimozioni ed è aumentata la pluralità di dispositivi di contenzione, quindi non più persone contenute, ma le stesse con più mezzi“, si legge nel rapporto. In pratica è aumentata la frequenza di contenzione delle persone “più problematiche che sono anche quelle che hanno subito il maggior danno dal Covid in termini di opportunità di relazioni sociali“.

Da notare poi un incremento dell’uso di integratori alimentari naturali, che si accompagna “alla riduzione della disponibilità a mangiare, perché in alcuni casi è successo che le persone non mangiavano e tendenzialmente succede che si usino integratori perché può esserci stata difficoltà a garantire l’alimentazione ordinaria, perché il cibo viene rifiutato… è prevalentemente una difficoltà psicologica“, spiegano da Upipa.

In aumento, infine, anche la somministrazione di benzodiazepine e antipsicotici: “È il portato della riduzione delle opportunità di relazione e di movimento: in un contesto di vita ordinaria una Rsa aperta e ricca consente di gestire l’ansia e il disturbo del comportamento e del sonno in maniera diversa, perché le persone vivono una vita piena di giorno, si stancano, hanno relazioni … nel momento in cui sono sole magari isolate in camera, è evidente che situazioni che non sono gestibili in altro modo vengono gestite con l’incremento delle benzodiazepine – è il commento -. Lo abbiamo segnalato alle strutture, suggerendo di valutare alternative“.

D’altro canto l’ex Difensore civico del Piemonte, l’avvocato Augusto Fierro, nella sua ultima relazione annuale, quella sul 2020, sottolinea come “l’isolamento affettivo può evolvere in fattore aggressivo della salute psicofisica dei pazienti ricoverati e per, per questa ragione, esso debba essere doverosamente scongiurato, alla pari del rischio di contagio”. Quindi quella della chiusura al pubblico delle Rsa è una “questione di straordinaria delicatezza e complessità, potendo essere correttamente affrontata […] solo a condizione di operare un bilanciamento tra esigenze di protezione della salute delle persone ricoverate nelle strutture che, a vario titolo, offrono loro cure e protezione e le necessità relazionali e socio affettive di coloro che in quelle strutture sono ricoverati”.

Fierro racconta quindi di “narrative dei cittadini pervenute a questo Ufficio nel periodo della fase più acuta della pandemia: alcune di esse volte a sostenere la inaccettabilità dei provvedimenti governativi limitativi della libertà di visita ai parenti, altre, più ponderate e condivisibili, che evidenziavano come, dall’applicazione delle rigorose regole adottate con i Dpcm, fosse conseguito, in non pochi casi, un evidente peggioramento della condizione di salute psicofisica dei propri cari”. Inoltre, sottolinea ancora il Difensore civico, le testimonianze dei familiari di anziani istituzionalizzati hanno consentito “di osservare come, proprio nei soggetti più fragili dal punto di vista cognitivo e, per questo, non in grado di avvalersi delle più recenti tecnologie che consentirebbero un contatto visivo con i propri cari da remoto, trovino maggior spazio di azione quei sentimenti di solitudine e di abbandono in grado di produrre gravi stati depressivi e conseguenti ricadute sull’attitudine alla sopravvivenza”.

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