Per far dire a Giuseppe Conte una manciata di parolette scontate ed elementari – “Non ce lo vedo il M5S a fare un ramo dell’Ulivo” – ci sono voluti 4 giorni dopo il voto che a Roma ha visto Virginia Raggi ultima e di fatto scaricata, o quanto meno dimenticata, dai big troppo impegnati a festeggiare la vittoria giallorosa (annunciata) di Napoli.
La Raggi è stata sconfitta, ma con buona pace di tutti i festanti cantori del “Tracollo Raggi” (immancabile titolone di Piazza Pulita) il suo 19%, come ha sottolineato a Tagadà Alessandra Ghisleri, sondaggista di simpatie non pentastellate, significa che a Roma non c’è stato il crollo verticale del M5S.
Infatti il Movimento “ha tenuto” grazie all’apporto personale della ex-sindaca, forte di un suo pacchetto di voti che cumulato a quello delle liste civiche che l’hanno sostenuta ha quasi raddoppiato la percentuale dei 5S. Alla fine come a caldo aveva evidenziato Massimo Fini sul Fatto del 6 ottobre, a vincere, paradossalmente ma non tanto, sono stati lui astensionista storico, in quanto rappresentante della prima forza politica del paese, e la perdente Raggi: “Ritengo quasi miracoloso che abbia ricevuto il 19% dei voti, dopo che per cinque anni è stata sottoposta ad un fuoco di fila di cui non ricordo l’eguale”.
La fuga di Conte dalla perdente e la plateale solitudine in cui è stata lasciata a gestire anche mediaticamente la sua sconfitta, mentre lo stato maggiore del M5S del “nuovo corso” si metteva in posa nella grande festa napoletana con Roberto Fico e Luigi Di Maio trionfanti accanto a Vincenzo De Luca, sono stati un detonatore per l’insofferenza di molti parlamentari e tantissimi tra iscritti, sostenitori ed elettori superstiti, non rassegnati a finire satelliti o ad essere annessi tout court al Pd.
Le stilettate di De Luca che ha rivendicato la grande vittoria di Napoli come una conferma del suo “modello Campania”, la valutazione impietosa sulla mobilitazione dei big – “C’erano più dirigenti che voti del M5S lunedì sera a Napoli” -, gli apprezzamenti incondizionati quanto velenosi sulla “grande qualità umana di Fico” e sugli aggiustamenti “garantisti” di Di Maio hanno avuto l’effetto di evidenziare il funambolismo in atto. E purtroppo rimarranno impressi nella memoria di tutti quelli che hanno motivo di essere demotivati e delusi dal “nuovo corso”, molto più degli attacchi beceri e diretti dello “sceriffo” ai tempi che furono.
Il “campo largo” del cosiddetto nuovo Ulivo in cui il Pd amerebbe ingabbiare il M5S ed il suo presidente che, come ha tenuto a precisare Letta, “non rappresenta più il fortissimo punto di riferimento dei progressisti”, include Calenda disinteressato, a quanto pare, a sedersi accanto a Conte definito “campione di qualunquismo e trasformismo”, nonché Matteo Renzi determinatissimo a chiedere una commissione d’inchiesta per svelare “le malefatte” di Conte nella gestione dell’emergenza Covid. E, pronubi Prodi e Bettini, accarezzerebbe l’idea di includere in una auspicata maggioranza Ursula anche B., con quel che resta di Forza Italia, in ragione del comprovato senso di responsabilità istituzionale durante la pandemia e nel governo “dei migliori”.
Dinanzi a tale scenario e al tardivo mini-paletto di Conte, era scontato e inevitabile che Virginia Raggi, già isolata da quando ha deciso di ricandidarsi rompendo le uova nel paniere alle manovre per convergere unitariamente su Zingaretti, ritornasse ad essere un punto di riferimento. E non solo perché non intende schierarsi con il Pd che ha ricandidato i liquidatori notarili di Ignazio Marino, che l’ha bollata come “una minaccia” per Roma e che aveva chiaramente e ripetutamente annunciato che mai e poi mai l’avrebbe preferita a Michetti, se fosse stata lei ad andare al ballottaggio. Ma forse anche perché tra i gruppi parlamentari in diversi si stanno rendendo conto che, pur se fortemente ridimensionato, un elettorato a Roma Virginia Raggi ce l’ha ancora, come un seguito nazionale testimoniato dal doppio dei voti degli iscritti ottenuti nell’elezione al comitato dei Garanti, rispetto a Fico e Di Maio. E anche parecchi elettori romani, oltre a tanti iscritti, si devono essere ricordati – nonostante il martellamento mediatico sul temibile bestiario cittadino – che ha fatto qualcosa per le periferie romane, sicuramente più di chi l’ha preceduta e soprattutto, come ha sottolineato Massimo Fini, “ha cercato in armonia con i principi dei 5S di riportare la legalità in una città che vive di illegalità”.
Impresa temeraria e peccato irredimibile nella città dove Salvatore Buzzi, condannato nell’appello-bis per Mafia Capitale (poi derubricata a Mondo di Mezzo) a 12 anni e 10 mesi, e neo-gestore del pub che ha fatto il giro del mondo con i panini intitolati ai protagonisti di Suburra ispirati ai suoi coimputati, Carminati in primis, esulta per la sconfitta della sindaca che ha messo la faccia sullo sgombero dei Casamonica. Ad indignarsi per la banalizzazione del male è stato solo Don Ciotti e Virginia Raggi ha commentato puntualmente in solitaria “Sono già tornati”.
Politica e media hanno invece concentrato tutta l’attenzione sul suo sospetto e singolare attivismo, con esplicite bacchettate: “una scelta inedita ed irrituale che rappresenta anche una forma di pressione sul M5S… allo scopo di rendere ancora più evidente il suo peso politico mentre dovrebbe affrontare le pratiche correnti in attesa dell’avvicendamento” secondo Il manifesto (10 ottobre).
Il riferimento, ovviamente, è ai colloqui separati in Campidoglio con gli aspiranti sindaci senza alcuna dichiarazione di voto, come fermamente preannunciato davanti ai microfoni la sera in cui ha commentato la sconfitta. Colloqui istituzionali e “di cortesia” secondo la sindaca uscente, in cui mettere al centro i dossier e quelle che considera le priorità per la città.
Che questa linea segni un distinguo rispetto Conte è indubitabile; che Virginia Raggi abbia un peso politico rilevante e ancora più forte, ora che nei gruppi parlamentari si sente l’esigenza di darsi una struttura e soprattutto di marcare una (sana) distanza dal Pd, è altrettanto evidente e, a mio parere, positivo.
Pretendere poi che, dopo che è stata in parte scaricata o quantomeno sostenuta a metà, faccia gli scatoloni in silenzio e tolga il disturbo in punta di piedi è in primo luogo irrealistico e rimanda alla considerazione conclusiva di Massimo Fini a proposito di femminismo e trattamento riservato ad Appendino e Raggi: “Per una volta che due donne hanno raggiunto posizioni apicali in genere riservate agli uomini, si è fatto di tutto da parte dei media per stroncarle“.