“Portateci da Landini o lo andiamo a prendere noi…”. È stato Giuliano Castellino, descritto come il “leader” dei manifestanti che hanno assaltato la sede della Cgil e trasformato il centro di Roma nel teatro di una “guerriglia urbana”, a pronunciare questa frase a un poliziotto poco prima dell’ingresso nel palazzo del più antico sindacato italiano. La frase pronunciata dal vice-segretario nazionale di Forza Nuova è contenuta nelle nove pagine di richiesta di convalida del fermo scritta dai pm Gianfederica Dito e Alessandro Di Taranto.

Hanno chiesto la conferma di carcere per lui, la “figura di primo piano” degli scontri, e per gli altri 5 – Roberto Fiore, l’ex Nar Luigi Aronica, Pamela Testa, il leader di Io Apro Biagio Passaro e Salvatore Lubrano – portati in cella all’alba di domenica. Negli atti i pubblici ministeri ricostruiscono quanto avvenuto nelle vie della Capitale sabato, dal discorso di Castellino in piazza davanti a 10mila No Green pass fino ai ripetuti attacchi alle forze dell’ordine. E la procura tratteggia anche gli obiettivi del pomeriggio ‘nero’: volevano distruggere la sede di una “istituzione costituzionalmente rilevante”, come il sindacato, spiegano i magistrati citando esplicitamente l’articolo 39 della Carta.

Tutto inizia, ad avviso degli inquirenti, con il “lungo e veemente discorso di aspra critica alle iniziative del governo” tenuto da Castellino in piazza del Popolo. Il 45enne forzanovista con “toni veementi – si legge – incitava la folla ad assediare la Cgil”. Il suo è stato un “ruolo preponderante” che è poi stato “assunto” anche da Fiore e Aronica, rispettivamente numero uno di Forza Nuova ed ex componente dei Nuclei Armati Rivoluzionari con 18 anni di carcere alle spalle. Su tutti e tre, sostengono i pm, esistono riscontri delle azioni che “hanno determinato drammatiche conseguenze nella gestione da parte delle forze dell’ordine”.

Del resto erano in prima fila davanti ai “circa 3000” che, spinti da Castellino, sono partiti in corteo “riversandosi su piazzale Flaminio” e “procedendo poi verso piazzale Brasile”, dove nel frattempo “alcune unità di polizia si erano recate” per “evitare che i manifestanti raggiungessero la sede della Cgil”, mentre “altri contingenti” venivano “inviati in corso d’Italia, sempre al fine di contenere la fronda violenta dei facinorosi”. I manifestanti però, prosegue la ricostruzione dell’accusa, “riuscivano con violenza a sfondare il cordone” e “una metà di loro riusciva a raggiungere la sede della Cgil con alla testa Castellino”. È in quel momento che il leader romano di Forza Nuova dice agli operatori di polizia: “Portateci da Landini o lo andiamo a prendere noi…”.

E anche quando i poliziotti in assetto antisommossa hanno provato una “carica di alleggerimento”, i manifestanti – sempre con in testa i tre – “proseguivano la marcia” opponendo una “violenta resistenza” anche lanciando oggetti e usando “bastoni” e “corpi contundenti”, come “spranghe di ferro”. Sono i primi momenti di tensione, l’attacco alla Cgil deve ancora maturare. Prima bisogna azzerare le resistenze delle forze dell’ordine: molti manifestanti, compreso Castellino, “accerchiavano – scrivono i pm – un mezzo del Reparto mobile assaltandolo, manovra questa che riusciva ad essere sventata dalla polizia con molta difficoltà”. Nel frattempo, l’argine è rotto, la sede della Cgil ormai a pochi metri. Castellino, scrivono ancora i pubblici ministeri, torna a dialogare con un funzionario di polizia: “Lasciatece passa’, dovemo entrà”. E poi si “rivolgeva alla folla incitandola con gesti inequivocabili a dirigersi verso la sede sindacale”.

Per riuscire ad entrare, i manifestanti “ponevano in essere atti di violenza e aggressione” nei confronti dei poliziotti che “non riuscivano a impedire l’accesso”, avvenuto “forza la porta principale e la finestra”. Una volta dentro, quello che le immagini hanno già mostrato sabato sera: vetri rotti, arredi danneggiati, così come suppellettili e materiale informatico. “Gravissimi atti di devastazione”, si legge nella richiesta di convalida. A tutto ciò partecipavano – stando alle carte – anche Salvatore Lubrano, Pamela Testa e Biagio Passaro. Il leader di IoApro, sottolineano i pubblici ministeri, dimostrava anche “sfrontatezza” e postava su Facebook un video in cui “si vantava” di essere entrato insieme agli altri, mostrando anche il suo volto.

Il pomeriggio di scontri è poi proseguito: i sei – scrive la procura – hanno inoltre portato avanti “altri violenti tentativi di sfondamento dei cordoni di sicurezza” a tutela di Palazzo Chigi e del Parlamento. Una vera e propria “guerriglia urbana”, viene definita. Terminata all’alba negli uffici della Digos, quando tra le 4.20 e le 8.30, i poliziotti notificano i verbali di arresto ai sei, difesi dagli avvocati Carlo Taormina e Sandro D’Aloisi. Adesso spetterà al giudice confermare, alleggerire o smontare la ricostruzione del “pomeriggio nero” lungo le vie del centro di Roma. L’udienza è fissata per giovedì.

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