Un caso di corruzione internazionale sull’asse Milano-Caracas, passando anche per Spagna, Bulgaria e Stati Uniti. Ne sono convinti gli inquirenti milanesi che hanno ottenuto un decreto di sequestro per 42 milioni di euro a carico della società Lattonedil (indagata) nell’inchiesta a carico di due amministratori e un dirigente dell’epoca e di tre intermediari e un consulente contabile con cittadinanza spagnola e messicana. Cuore del fascicolo le ipotizzate “tangenti milionarie a “pubblici ufficiali venezuelani” per ottenere “dalla società pubblica” Petroleos de Venezuela Industrial sa, “interamente controllata dal Governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela”, due appalti, il primo del 2013 e il secondo del 2014, sulla “fornitura di pannelli per l’edilizia di tipo ‘sandwich’ per la realizzazione del progetto denominato ‘Gran Mision Vivienda de Venezuelà” come si legge nel decreto del giudice per le indagini preliminari Giusi Barbara.
La prima commessa presa dalla società milanese, eseguito dalla Squadra mobile di Milano, era di oltre 47 milioni di euro e la seconda di quasi 24 milioni. Stando alle imputazioni, “una somma pari all’1%” del valore delle commesse sarebbe stata versata a Carlos Medina, “dirigente generale dell’area progetti” della società pubblica venezuelana. Mentre un altro 27% del valore degli appalti “è stata corrisposto ad altri pubblici ufficiali venezuelani, tra cui Ower Manrique, all’epoca presidente di Pdvsa Industrial”, la società venezuelana, “attraverso fatture false emesse” da società messicane. La corruzione internazionale sarebbe stata portata avanti tra Milano, Spagna, Stati Uniti, Bulgaria e Venezuela fino al 2018. Tra gli indagati gli amministratori dell’epoca di Lattonedil, Sergio (ad) e Giulietto Bettio (presidente), e il dirigente Fabio Merli. “Una somma pari al 7% – si legge ancora – è stata trattenuta da Cladellas e Lujambio (presunti intermediari, ndr) a titolo di mediazione”.
Gli “organi di vertici dell’azienda italiana”, la Lattonedil spa di Milano, con un “sistema di pagamenti” ideato da presunti intermediari “sono stati in grado di veicolare oltre 22 milioni di euro (cosiddetti ‘ritorni’) nelle casse di otto società ‘fantasma’ messicane”, a loro volta “trasferiti ad altri soggetti, non ancora identificati, che in più occasioni sono stati indicati con l’appellativo ‘lobby’, ‘gruppo V’, ‘open doors’, ma ancora in modo più significativo come ‘i venezuelanì o ‘persone vicine a coloro che governano il Paese'”. Nel provvedimento il giudice ricorda che “Lujambio (uno dei presunti intemediari, ndr) nel corso del suo interrogatorio ha affermato che” il “gruppo V” è composto “da persone vicine al Governo venezuelano e alle gerarchie militari di quel Paese sudamericano”. La società italiana si sarebbe aggiudicata le commesse pubbliche “per affidamento diretto, senza l’indizione di alcun bando di gara” con fornitura “contrattata a prezzi superiori a quelli normalmente praticati dalla società italiana ai clienti nazionali”.
Nel corso del suo interrogatorio, si legge nel decreto, “Sergio Lujambio Irazabal ha spiegato che il nome ‘Gruppo V’ è stato dato da Jordi Rosell, consulente di Jordi Cladellas (sono tutti indagati, ndr) a una lobby la cui funzione ‘era quella di mediare tra politici e militari del Venezuela”. Agli atti ci sono una serie di email del 2014 nelle quali Lujambio, Cladellas informavano i rappresentanti della Lattonedil, Sergio Bettio e Merli, che la “lobby venezuelana” stava esercitando “pressioni”, perché, scrivevano, la “loro unica preoccupazione è incassare, nel modo giusto, e subito”. Lujambio in un’altra mail scrive ancora a Merli: “Quelli vicini a chi lo governa, sono quelli che ci hanno aiutato a rendere possibile questo ordine”. I pagamenti delle presunte mazzette sarebbero passati attraverso due società in particolare, Hollowside e Nqi, con un sistema di false fatture, e sarebbero stati generati così anche “fondi extracontabili, verosimilmente finiti nella disponibilità dei suoi amministratori (della Lattonedil, ndr) e sottratti sia al patrimonio sociale che all’imposizione tributaria”.
Agli atti anche un’intercettazione del 3 luglio del 2018 tra Fabio Merli e un’altra persona che per gli inquirenti proverebbe, assieme a tutti gli altri elementi raccolti, il pagamento delle presunte bustarelle: “Io ero informato dell’ammontare delle tangenti (…) ci sono 21 milioni di costi di provvigioni”, si legge nell’intercettazione. Una vicenda di corruzione internazionale, conclude il gip, che “inizia nel 2013 e prosegue quantomeno sino al 2020”.