Anche l’Italia non è sulla strada giusta per rimanere entro quel limite, pur riuscendo su alcuni fronti a portare a casa dati meno disastrosi rispetto a quelli di altri Paesi del G20. “L’obiettivo nazionale è di ridurre le emissioni del 38% al di sotto dei livelli del 2005 entro il 2030, ma per rimanere sotto 1,5 ̊C dovrebbero scendere di almeno il 72% a livello nazionale”
Se la pandemia aveva portato, nel 2020, un calo del 6 per cento delle emissioni di CO2 legate all’energia, nel 2021 tra i Paesi del G20 ci sarà in media un aumento del 4 per cento, con Argentina, Cina, India e Indonesia che si prevede supereranno i rispettivi livelli del 2019. E mentre la dipendenza dai combustibili fossili dei Paesi più ricchi del mondo rimane forte (e anche l’Italia non fa eccezione), Stati Uniti, Cina e India stanno guidando la crescita del consumo di carbone. Su 1,8 trilioni di dollari, i governi hanno speso solo 300 miliardi per la ripresa verde. Sono alcuni dei dati presenti nel Climate Transparency Report, la revisione annuale più completa al mondo sull’azione per il clima dei Paesi del G20. Il verdetto è che sono in ritardo, anche sulla finanza climatica. Il dossier 2021 rivela come, nonostante gli impegni di zero emissioni nette al 2050, e alcuni obiettivi climatici di medio periodo aggiornati, proprio queste potenze (che rappresentano il 75% delle emissioni globali di gas serra) stanno contribuendo ad avvicinare il pianeta alla soglia di riscaldamento di 1,5°C. Anche l’Italia non è sulla strada giusta per rimanere entro quel limite, pur riuscendo su alcuni fronti a portare a casa dati meno disastrosi rispetto a quelli di altri Paesi del G20. “L’obiettivo nazionale è di ridurre le emissioni del 38% al di sotto dei livelli del 2005 entro il 2030, ma per rimanere sotto 1,5 ̊C dovrebbero scendere di almeno il 72% a livello nazionale” scrivono gli autori del rapporto. Eppure l’Italia è particolarmente vulnerabile rispetto al cambiamento climatico con 997 vittime e un danno economico di quasi 1,65 miliardi di dollari all’anno a causa di eventi meteorologici estremi. Ragion per cui le misure di adattamento sono una necessità. Anche e soprattutto quelle che riguardano l’agricoltura, dato che è il settore dove sono più alte le possibilità di impatti già con un aumento della temperatura di 1,5 gradi.
Il Climate Transparency Report 2021 – Sviluppato da esperti di 16 organizzazioni partner della maggior parte dei paesi del G20, il rapporto si basa su 100 indicatori per le misure di adattamento, la mitigazione e il finanziamento. Quest’anno il G20 si è impegnato a presentare nuovi obiettivi climatici. Quattro giorni prima della scadenza finale del 12 ottobre, 16 membri (tra cui Francia, Germania e Italia nell’ambito degli Ndc europei) hanno consegnato i loro piani aggiornati. Gli obiettivi attuali, però, limiteranno il riscaldamento solo a 2,4°C. Con il vertice dei leader del G20 a Roma, il 30-31 ottobre, sotto la presidenza Italiana e il vertice COP26 a Glasgow dal primo novembre, il rapporto sottolinea la necessità che i leader delle principali economie mondiali passino nelle loro politiche dal livello della retorica all’azione. D’altro canto, tra il 1999 e il 2018 ci sono stati quasi 500mila decessi e quasi 3,5 trilioni dollari di costi economici dovuti agli impatti climatici in tutto il mondo, con Cina, India, Giappone, Germania e Stati Uniti particolarmente colpiti nel 2018.
Il ruolo dell’Italia – La emissioni di gas serra pro capite in Italia (escluse quelle dovute al consumo di suolo) sono al di sotto della media del G20 (6,5 rispetto a 7,5 tCO2 pro capita) e sono diminuite dello 0,94% tra il 2013 e il 2018 (la media degli altri Paesi è dello 0,71%), ma appena del 17% tra il 1990 e il 2018. “Le proiezioni attuali – si legge nel rapporto – mostrano che le emissioni raggiungeranno il 64% al di sotto dei livelli del 1990 entro il 2050”, mentre entro quella data bisognerebbe arrivare alla neutralità climatica”. Il settore dei trasporti ne è la principale causa con il 29%, seguito da quello energetico, dagli edifici e dall’industria rispettivamente al 25%, 22% e 17%: “Nel 2018, il 91% del trasporto passeggeri e l’85% di quello delle merci è stato su strada e i veicoli elettrici hanno rappresentato solo il 4,3% delle vendite di auto nel 2020”. Il mix energetico italiano è ancora dominato dai combustibili fossili (77%), leggermente inferiore alla media del G20 dell’81% nel 2020, mentre “l’intensità di carbonio è cambiata di poco”. Il consumo di carbone e petrolio è in diminuzione, ma la quota di gas naturale rimane stabile (42%) ed è un’importante fonte di emissioni, mentre la quota di rinnovabili nel mix è solo del 18%. Cresciuta solo del 9% tra il 2015 e il 2020, rispetto a una media del 24% (Paesi G20). Mentre l’Italia punta al 30% del consumo finale lordo di energia da fonti rinnovabili entro il 2030, come fissato nel Piano nazionale per l’energia e il clima (Pniec). Questo, però, non si allineerebbe con gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni, così come il Piano nazionale di ripresa e resilienza non sarebbe il linea con gli obiettivi climatici al 2030. Solare, eolico, geotermico e biomasse rappresentano poco meno del 13% dell’energia italiana offerta (ma la media del G20 è del 7%).
Sussidi e finanza climatica – Nel 2019, l’Italia ha speso 9,6 miliardi di dollari in sussidi ai combustibili fossili per petrolio e gas. Non sono ancora disponibili dati completi per il 2020, ma secondo Energy Policy Tracker, lo scorso anno l’Italia ha impegnato almeno 3,8 miliardi di dollari per l’energia da combustibili fossili, buona parte (3,4) per la nazionalizzazione di Alitalia. Per quanto riguarda la finanza climatica l’Italia è al settimo posto, davanti a Canada e Australia, per flussi finanziari bilaterali e quinto per i contributi ai fondi multilaterali per il clima nel 2017-18, in valori assoluti. Si è parlato anche di questo nei recenti vertici italiani in vista della COP 26, con l’annuncio del ministro della Transizione, Roberto Cingolani, di proporre un aumento (fino a un miliardo di euro) per la finanza climatica in favore dei Paesi in via di sviluppo.
Uno sguardo globale – A livello globale emergono alcuni sviluppi positivi, come la crescita dell’energia solare ed eolica tra i membri del G20, con nuovi record di capacità installata nel 2020. La quota di rinnovabili nell’approvvigionamento energetico dovrebbe passare dal 10% nel 2020 al 12% nel 2021. E nel settore energetico, le rinnovabili sono aumentate del 20% tra il 2015 e il 2020 e si prevede arrivino a quasi il 30% del mix energetico del G20 nel 2021. Tuttavia, gli esperti osservano che, a parte il Regno Unito, i membri del G20 non hanno né a breve né a lungo termine strategie in atto per raggiungere il 100% di rinnovabili nel settore energetico ben entro il 2050. Allo stesso tempo, però, la dipendenza dai combustibili fossili non sta diminuendo. Al contrario, si prevede che il consumo di carbone aumenterà di quasi il 5% nel 2021, mentre il consumo di gas è già aumentato del 12% in tutto il G20 dal 2015 al 2020. Se le energie rinnovabili stanno contribuendo a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili del Regno Unito, qui la notevole produzione di gas naturale rimane un problema. Il rapporto rileva che la crescita del carbone è principalmente concentrata in Cina (con il 61%), il più grande produttore e consumatore mondiale di carbone, seguita da Stati Uniti (18%) e India (17%).
I combustibili fossili – Stati Uniti e Australia fanno registrare le emissioni pro capite più alte del G20 (4,9 e 4,1 tCO2 contro una media di 1,4) per l’elevata quota di combustibili fossili, in particolare gas naturale e petrolio, utilizzati per la generazione di calore. Tra il 2018 e il 2019, i membri del G20 hanno fornito 50,7 miliardi di dollari (soldi pubblici) all’anno all’industria dei combustibili fossili. I maggiori fornitori sono stati Giappone (10,3 miliardi di dollari l’anno), Cina (poco più di 8 miliardi di dollari) e Corea del Sud (poco meno di 8 miliardi). E solo 13 membri del G20 hanno in atto un sistema nazionale per il prezzo del carbonio. Ergo: non sono in linea con la soglia di 1,5° gli Usa, a meno che non si fermi l’espansione delle infrastrutture petrolifere e del gas, mentre nel suo complesso l’Ue deve fare di più, dato che (nonostante il pacchetto ‘Fir for 55’) alcuni Stati (come l’Italia) stanno ancora investendo molto nel gas. Non sono in linea neppure la Francia (che dovrebbe aumentare la sua riduzione delle emissioni del 40% entro il 2030) e l’Argentina (dove l’esplorazione di gas naturale attraverso il fracking ha continuato ad aumentare nei giacimenti Vaca Muerta, dopo che la domanda di energia è ripresa nel 2021), mentre il Sudafrica ha presentato un nuovo ambizioso obiettivo climatico.