È illegittimo cedere un’azienda, nella fattispecie un supermercato, con la formula dello “spezzatino“, come se i vari reparti fossero altrettanti rami di attività. E non si possono lasciare a casa una parte dei dipendenti perché impiegati in un reparto che si sostiene non essere oggetto di trasferimento: con il passaggio di proprietà devono passare in capo all’acquirente anche tutti i rapporti di lavoro preesistenti. Questo il senso di una sentenza del tribunale del Lavoro di Torino che a fine settembre ha dichiarato il diritto alla prosecuzione del rapporto per dieci lavoratrici dell’ex ipermercato Auchan di corso Romania passato in gestione lo scorso anno alla Margherita distribuzione. A novembre la società che fa capo al veicolo Bdc controllato da Conad (51%) e dalla Wrm (49%) del finanziere Raffaele Mincione ha ceduto il punto vendita a Nsa srl, che l’ha poi dato in affitto alla cooperativa Nordovest insieme con il meccanismo che caratterizza il modello Conad.
La vertenza è una delle tante scaturite dalla maxi acquisizione, nel 2019, di tutti i punti vendita Auchan da parte del gruppo Margherita (Conad), accompagnata dall’annuncio di pesanti esuberi. A Torino il punto vendita che era stato il primo aperto in Italia dalla catena della gdo francese è stato quasi dimezzato in termini di organico rispetto ai 260 dipendenti iniziali. Margherita distribuzione, secondo cui le grandi superfici con la formula ipermercato non sono più in linea con le esigenze del mercato italiano, nel luglio 2020 ha infatti comunicato ai sindacati di aver deciso una riduzione dell’area di vendita da 9mila a 5mila metri quadri e un frazionamento della licenza commerciale in due distinte autorizzazioni, una per i generi alimentari e una per il non food, dai casalinghi agli elettrodomestici al tessile.
In questo quadro, essendo secondo l’azienda il “modello operativo Conad focalizzato in via esclusiva o prevalente sull’area food“, sarebbero stati oggetto di cessione solo i reparti ortofrutta, carni, pescheria, salumeria, parafarmacia, pet store e bistrot, oltre alle parti amministrative e di supporto alla vendita. Come conseguenza, il personale sarebbe risultato “sovradimensionato rispetto alle effettive esigenze operative e di business” e c’era “l’esigenza di provvedere al trasferimento nell’ambito del ramo del solo personale funzionale (…) al nuovo format derivante dalle attività di frazionamento, per un totale pari a 144 Ftes” cioè l’equivalente di 144 dipendenti a tempo pieno. Il 20 novembre 2020 MD, che nel frattempo ha annunciato la cessazione di ogni attività, ha ceduto a Nsa srl – parte della rete Conad – il diritto di proprietà sul solo presunto ramo d’azienda food con relativi dipendenti.
Le lavoratrici rimaste senza occupazione – pur non essendo state licenziate, non avendo accettato l’incentivo all’esodo sono state “parcheggiate” a casa e percepiscono solo la cassa integrazione – si sono rivolte alla Filcams Cgil e, difese dagli avvocati Fausto Raffone e Gaetano Raffone, hanno chiesto che fosse loro riconosciuta la prosecuzione del rapporto con Nordovest insieme che oggi gestisce lo Spazio Conad di viale Romania. Il Tribunale ha dato loro ragione, sancendo che “l’operazione posta in essere non integra una cessione di ramo d’azienda, bensì la cessione di azienda tout court” a cui si applica dunque l‘articolo 2112 del codice civile, in base al quale il rapporto di lavoro continua con il cessionario e “il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano”. Infatti, tra il resto, il fatto che siano già passati di mano i reparti direzione e amministrazione “evidenzia la carenza di qualunque forma di organizzazione dei beni rimasti in capo a MD, elemento indispensabile ai fini della configurazione di un’azienda o di un ramo di essa”, scrive il giudice Nicola Tritta.
E ancora: “Il fatto che (…) in capo alla cedente non sia rimasta alcuna azienda, ma solo un insieme di beni e dipendenti non organizzati, da tempo inattivi e dunque che non si trovano nelle condizioni di proseguire l’attività di impresa senza l’apporto di elementi essenziali esterni, evidenzia già di per sé che detta cessione non ha avuto ad oggetto un ramo d’azienda, ma l’azienda stessa, privata di elementi ritenuti accessori, ovvero non indispensabili da parte della cessionaria, e che la selezione del personale ceduto, oltre ad essere avvenuta in spregio all’art 2112 c.c., abbia integrato una riduzione di personale senza il rispetto delle disposizioni” in materia di mobilità. La tesi in base alla quale Conad sarebbe focalizzata solo sui generi alimentari risulta poi smentita dal fatto che negli stessi scritti difensivi “si afferma pacificamente che oggetto di cessione sono i beni strumentali per la vendita di prodotti “prevalentemente non alimentari””, nonché dal fatto che anche nelle autorizzazioni alla suddivisione delle licenze l’azienda intendeva comunque riservarsi l’autorizzazione al commercio dei prodotti sia food sia no food.
Il tribunale ha dunque accertato il diritto delle ricorrenti ad essere riconosciute alle dipendenze di Nordovest Insieme a decorrere dal 20 novembre 2020 con il mantenimento di tutte le condizioni economiche e normative di cui erano titolari in precedenza. Altri lavoratori assistiti dalla Uiltucs del Piemonte hanno fatto causa separatamente e hanno allo stesso modo riottenuto il posto oltre al pagamento delle retribuzioni non corrisposte a partire dal 20 novembre 2020 e fino al loro riassorbimento in Nordovest insieme. In tutta Italia ci sono circa cinquecento lavoratori nella stessa situazione.