Le grandi aziende hanno messo in campo alternative come i tamponi gratuiti o la formazione, con il consenso dei sindacati. Ma le piccole, che sono la stragrande maggioranza, non possono. Il sociologo: "Datore e lavoratore soli davanti al vuoto dell'informazione. Si smetta coi quiz demenziali, la Rai riempia quel vuoto"
“Questa mattina ero in una clinica privata per la terza dose. Cinque infermieri avevano rifiutato il vaccino, l’azienda ne ha convinti quattro. Segno che le imprese possono fare la differenza nel convincere i novax. Mi chiedo però se sia la strada giusta e dove sia il servizio pubblico radiotelevisivo”. Domenico De Masi lo ha visto coi suoi occhi, lo chiama generosamente “il potere persuasivo del datore”, ma in mente ha altro. Dal domani, salvo eccezioni, i lavoratori italiani dovranno esibire il green pass per accedere al posto di lavoro o fare un tampone ogni 48 ore. Una scelta “scellerata” del governo, sostiene il sociologo, che meglio avrebbe fatto a imporre l’obbligo vaccinale anziché “scaricare gli oneri di controllo su terzi”. Ma così non è andata, e ora è tra i reparti, nelle botteghe, nei negozi si deve trovare la quadra di un problema che – con 3,5 milioni di lavoratori senza neppure una dose fatta – rischia di infiammare i porti e le piazze.
Alcune grandi aziende hanno investito risorse e tempo per garantire il passaggio senza conflitto. Tra le altre, la Ducati di Borgo Panigale che – in controtendenza – ha deciso di pagare per un mese i tamponi ai dipendenti non vaccinati. “Dal 13 ottobre al 15 novembre l’azienda consentirà ai dipendenti non vaccinati e senza green pass di eseguire un tampone antigenico gratuito direttamente in fabbrica, presso i locali dell’infermeria” conferma Ducati in una nota al Fatto.it. L’azienda italo-tedesca ha messo in pista anche un’ora di formazione e di ascolto dei dipendenti per “accompagnarli verso questo importante momento di transizione”. Altre aziende si muovono seguendo questo “modello”, assimilabile a un servizio di welfare aziendale.
La Bonfiglioli di Carpiano, nel milanese, produce riduttori. Da tempo sia l’azienda che i sindacati sono mobilitati per convincere i lavoratori a vaccinarsi e ridurre al minimo il rischio di conflitti tra salute e lavoro. Come, lo spiega Andrea Torti della Fiom: “Nelle assemblee sindacali, dedichiamo una parte del tempo a questo tema”. Molti i marchi dell’automazione, ma che altri settori, dalla distribuzione al food alla moda, si stanno muovendo nella direzione di una sorta di “periodo cuscinetto” a tutela dei non vaccinati. Brunello Cucinelli, ad esempio, concederà ai non vaccinati di stare a casa con un’aspettativa retribuita di 6 mesi.
“Sono tutte iniziative encomiabili – ribatte il sociologo De Masi – il problema è che riguardano industrie con centinaia o migliaia di dipendenti e non le tantissime micro imprese italiane dove tutto questo non è possibile,”. E’ sua convinzione tra datore e lavoratore resti un vuoto che chiama in causa l’informazione: “Le famiglie, la scuola, i sindacati, i medici fanno il loro. Ma questa scelta di scaricare sempre gli oneri su terzi è socialmente pericolosa. Mi spiego, che le aziende suppliscano quel vuoto e lo facciano bene va a loro merito, ma il conflitto sociale non si abbassa così. Visto il momento i media, non le aziende, dovrebbero svolgere una funzione pedagogica perché la confusione e il conflitto tra salute e lavoro possono sfociare in una specie di miniguerra civile che è assurda. Anziché quiz demenziali all’ora di cena la Rai dedichi ogni sera una striscia informativa sull’importanza del vaccino e l’assenza di rischi”.
Questo è De Masi, con la sua critica politica e sociale. Michele Maisetti è uno psicologo della salute organizzativa delle imprese, nonché direttore dell’Associazione italiana psicologi. Da un decennio lavora con le Pmi del nord e il problema di mediare il conflitto tra un datore cui è accollato il rispetto della legge e un lavoratore cui è concesso di sottrarvisi solo con un tampone ogni 48 ore lo ha ben presente. “Problema di difficile soluzione. Meno nelle grandi aziende, dove se si assenta il 5% del personale poco cambia. Per le piccole cambia tutto, e sono il 99% delle imprese italiane. In media io ho 25-30 clienti tra le piccole e due/tre sopra i 60 dipendenti. Mi è capitato che un imprenditore mi chiedesse paro paro “che faccio di questo che non vuol vaccinarsi?”. La mia risposta è che, stanti gli obblighi di legge attuali, l’imprenditore si faccia due conti. Scoprirà facilmente che gli costa meno pagare i tamponi gratuiti che rinunciare a quella risorsa. Il contrario, del resto, significa che quella risorsa non era ben gestita”.