Tutto da rifare. Il primo processo sul sequestro, la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni neanche inizia che già deve ricominciare. Dopo sette ore di camera di consiglio, infatti, la terza sezione della corte d’Assise di Roma ha deciso che gli atti devono tornare al giudice per l’udienza preliminare. Il motivo? Non c’è la prova che i quattro imputati – tutti esponenti dei servizi di sicurezza egiziani – siano a conoscenza del processo aperto in Italia a loro carico. Per i giudici, dunque, è nulla la dichiarazione di assenza dei quattro 007. Secondo la corte d’Assise “il decreto che disponeva il giudizio era stato notificato agli imputati comunque non presenti all’udienza preliminare mediante consegna di copia dell’atto ai difensori di ufficio nominati, sul presupposto che si fossero sottratti volontariamente alla conoscenza di atti del procedimento”. Che cosa vuol dire? Che, secondo i giudici, non è provato che gli imputati abbiano deciso volontariamente di essere contumaci. La questione è normata dall’articolo 420 bis del codice di procedura penale, quello che regola l’assenza dell’imputato: “Se l’imputato, libero o detenuto, non è presente all’udienza e, anche se impedito, ha espressamente rinunciato ad assistervi, il giudice procede in sua assenza”, recita la norma. Ecco, secondo la corte d’Assise capitolina non c’è la prova che l’imputato sappia dell’udienza e dunque che abbia espressamente rinunciato ad essere presente. Ecco perché i giudici hanno annullato il decreto di rinvio a giudizio.
A decidere sull’eventuale sospensione del processo a carico degli 007 sarà così il gup di Roma dopo che avrà intrapreso tutte le strade per rendere effettiva agli imputati la conoscenza del procedimento a loro carico. Dopo la rogatoria, che sarà chiesta in sede della nuova udienza, il giudice fisserà una seconda udienza, a distanza di qualche mese, per fare il punto sulle “ricerche” dei quattro. Se resteranno irreperibili, il gup emetterà una ordinanza di sospensione del procedimento. L’iter previsto a quel punto è il rinnovo della rogatoria ogni 12 mesi.
Il dispositivo – Nel dispositvo, infatti, la corte scrive: “L’acclarata inerzia dello Stato egiziano a fronte di tali richieste del ministero della Giustizia italiano, certamente pervenute presso l’omologa autorità egiziana, seguite da reiterati solleciti per via giudiziaria e diplomatica nonché da appelli di risonanza internazionale, effettuato dalle massime autorità dello Stato italiano, ha determinato l’impossibilità di notificare agli imputati, presso un indirizzo determinato, tutti gli atti del procedimento a partire dall’avviso di conclusione delle indagini. Gli imputati, dunque, non sono stati raggiunti da alcun atto ufficiale“. I giudici sottolineano che “le richieste inoltrate tramite rogatoria all’autorità giudiziaria egiziana contenenti l’invito a fornire indicazioni sulle compiute generalità anagrafiche e sugli attuali residenza o domicilio utili per acquisire formale elezione di domicilio ai fini della notificazione degli atti del procedimento insaturato a loro carico non hanno avuto alcun esito”.
La famiglia: “Amarezza, premiata prepotenza egiziana” – Adesso, dunque, si torna indietro: si ripartirà quindi dall’udienza preliminare. Il giudice dovrà utilizzare tutti gli strumenti, compresa una nuova rogatoria con l’Egitto, per rendere effettiva e non solo presunta la conoscenza agli imputati del procedimento a loro carico. “Riteniamo importante che il governo italiano abbia deciso di costituirsi parte civile. Prendiamo atto con amarezza della decisione della Corte che premia la prepotenza egiziana. È una battuta di arresto, ma non ci arrendiamo. Pretendiamo dalla nostra giustizia che chi ha torturato e ucciso Giulio non resti impunito. Chiedo a tutti voi di rendere noti i nomi dei 4 imputati e ribaditelo, così che non possano dire che non sapevano”, ha commentato l’avvocato Alessandra Ballerini, legale della famiglia Regeni, lasciando l’aula bunker di Rebibbia al termine dell’udienza. Presenti accanto alla Ballerini anche Paola Deffendi e Claudio Regeni, genitori del ricercatore rapito, torturato e ucciso nel 2016. Da piazzale Clodio, invece, filstra “sorpresa e amarezza”. “Il tentativo di impedire che il processo si celebrasse non collaborando, è andato a buon fine malgrado un lavoro intenso di oltre cinque anni che ha permesso l’identificazione dei presunti autori dei fatti”, affermano fonti giudiziarie che “si augurano che riprendano con rinnovata determinazione le azioni, a tutti i livelli, per ottenere l’elezione di domicilio degli imputati così che il gup cui la Corte d’Assise ha rimesso gli atti possa riavviare il processo al più presto”.
La corte annulla il decreto – In questo modo viene cancellato il processo a due uomini del dipartimento di sicurezza del Cairo, Tariq Sabir e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e a due agenti della National Security Agency, il servizio segreto interno egiziano, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif: per la procura di Roma hanno sequestrato Regeni, mentre il solo maggiore Sharif è accusato anche di lesioni aggravate e omicidio. È lui l’uomo che – secondo i pm capitolini – con altri soggetti ancora da identificare (su questo le indagini sono ancora in corso), “con crudeltà, cagionava a Regeni lesioni che gli avrebbero comportato l’indebolimento e la perdita permanente di più organi, seviziandolo, con acute sofferenze fisiche, in più occasioni e a distanza di più giorni”. Secondo il decreto del gup appena annulato dai giudici il processo ai quattro 007 poteva svolgersi per il semplice fatto che “la copertura mediatica capillare e straordinaria ha fatto assurgere la notizia della pendenza del processo a fatto notorio”. La corte d’Assise, però, non è sembrata essere d’accordo.
La richiesta delle difese (d’ufficio) – A chiedere l’annullamento del decreto di rinvio a giudizio erano stati i difensori d’ufficio. “Chiediamo la sospensione del procedimento e la nullità della precedente dichiarazione di assenza: bisogna avere la prova certa che gli imputati siano a conoscenza del procedimento, e qui a nostro avviso non vi è alcun atto formale che sia stato materialmente portato a conoscenza di questi. La nostra è una difesa esclusivamente formale”, avevano chiesto gli avvocati d’ufficio Paola Armellin, Filomena Pollastro, Tranquillino Sarno e Annalisa Ticconi, difensori dei quattro agenti segreti egiziani. Di segno completamente opposto il parere della procura.
Nel corso del suo intervento il pm Sergio Colaiocco aveva sottolineato che i quattro 007 si “sono sottratti volontariamente dal processo mettendo in atto, in qualità di agenti della National Securety, una serie di depistaggi per “rallentare” l’indagine della Procura di Roma in modo tale da insabbiare la verità su quanto avvenuto tra il dicembre del 2015 e il febbraio del 2016. E anche il tuo di piazzale Clodio nell’ambito dell’udienza preliminare aveva giudicato sufficiente la pubblicità, mediatica e non solo, data all’inchiesta e al procedimento penale tale da renderlo “fatto notorio“. In altri termini i quattro oggi non potevano non sapere che davanti ad un tribunale italiano iniziava il processo a loro carico. Colaiocco ha parlato di “un’azione complessiva dei quattro imputati, e alcuni loro colleghi, compiuta dal 2016 e durata fino a poco fa, per bloccare, rallentare le indagini ed evitare che il processo avesse luogo in Italia. Da parte loro per 5 anni c’è stata una volontaria sottrazione, vogliono fuggire dal processo. Sono finti inconsapevoli“, ha detto il rappresentante dell’accusa che ha poi elencato 13 circostanze con cui gli 007 hanno ostacolato il corso delle indagini. “Qui non abbiamo una prova regina una intercettazione telefonica. Ma ci sono almeno 13 elementi – ha affermato Colaiocco – che dal 2016 a oggi, se messi insieme, fanno emergere che gli agenti si sono volontariamente sottratti al processo. La domanda è: perché gli imputati non sono presenti qui in questa aula, sono inconsapevoli o finti inconsapevoli? L’imputato ha diritto ad avere tutte le notifiche del processo ma anche il dovere di eleggere il proprio domicilio. L’Egitto su questo punto non ha mai risposto. In generale su 64 rogatorie inviate al Cairo, 39 non hanno avuto risposta”. E poi l’ammissione: “abbiamo fatto quanto umanamente possibile per fare questo processo e sono convinto che oggi i quattro imputati sappiano che qui si sta celebrando la prima udienza”.
I legali della famiglia – In aula presenti i genitori di Regeni, Paola e Claudio e la sorella Irene che si sono costituiti parte civile. Dal canto suo anche l’avvocato dello Stato ha depositato l’istanza da parte della Presidenza del Consiglio. “Dopo cinque anni e mezzo di faticosa battaglia vogliamo un processo. Ma che sia regolare, siamo qui per proteggere la verità”, hanno detto gli avvocati Alessandra Bellerini e Francesco Romeo, legali della famiglia di Regeni. I legali hanno fatto riferimento ai “depistaggi clamorosi” messi in atto dalla National Security e dagli imputati. Dal finto movente omosessuale, all’uccisione della banda di rapinatori fino ad arrivare al film sulla vicenda di Regeni, andato in onda sui media egiziani e comparso anche sui social network, “evidentemente diffamatorio tanto che i genitori di Giulio hanno presentato una denuncia-querela alla Procura di Roma”. Ballerini ha ricordato che a Giulio furono “fratturati denti e ossa. Incise lettere sul corpo. La madre lo riconoscerà dalla punta del naso”. Tutto ciò è avvenuto “in un luogo di tortura della National Security. Giulio muore non per le torture ma per torsione del collo, perché qualcuno decide che doveva morire. In questi anni abbiamo subito pressioni e i nostri consulenti in Egitto sono stati arrestati e torturati”.