Più poveri, con meno lavoro, con un basso tasso di vaccinati e anche in calo numericamente. È questa la fotografia della situazione dei cittadini stranieri in Italia contenuta nell’ultimo rapporto Immigrazione di Caritas e Migrantes, nel quale si sottolinea come sia proprio la popolazione immigrata quella maggiormente esposta alla povertà, soprattutto con l’arrivo della pandemia: se prima della diffusione del Covid-19 la povertà assoluta delle famiglie straniere si attestava al 24,4% (quasi un nucleo su quattro, secondo i parametri Istat, non arrivava a un livello di vita dignitoso), oggi risulta indigente più di una famiglia su quattro (il 26,7%, in aumento del 2,3%), a fronte di un’incidenza del 6% registrata tra le famiglie di italiani.

Anche per gli stranieri occupazione in calo
La pandemia non ha colpito solo la popolazione italiana in fatto di occupazione. Anche i lavoratori stranieri hanno conosciuto un fenomeno importante di perdita del lavoro, visto che il tasso di disoccupazione è oggi al 13,1%, ben più alto di quello degli italiani (8,7%), mentre quello degli occupati immigrati è del 60,6%, con una riduzione ampia, tanto da risultare inferiore a quello degli autoctoni (62,8%). Chi paga di più questa situazione, anche tra la popolazione immigrata, sono le donne, con una riduzione del tasso di occupazione due volte maggiore.

A pagare di più sono coloro che lavorano in alberghi e ristoranti (25,2% degli Ue e 21,5% degli extra-Ue) e altri servizi collettivi e personali (27,6 % degli Ue e 25,2% degli extra-Ue). C’è inoltre una quota rilevante di lavoratori, che nel 2020 ha superato i 2 milioni di persone (+10,9% dal 2019), che è incerta sul proprio futuro al punto tale da ritenere di poter perdere il proprio impiego. Mentre per gli italiani questo timore si riduce parallelamente all’aumentare del livello di istruzione, confermando come il possesso di competenze più elevate fornisca una maggiore sicurezza dinanzi al manifestarsi di rischi: ma questo non accade tra gli stranieri extracomunitari.

Popolazione, anche quella straniera diminuisce. E gli arrivi sono in calo
Con la pandemia, anche la popolazione straniera ha iniziato a manifestare una tendenza alla diminuzione come già succede da anni a quella italiana. Nel 2021, i cittadini stranieri presenti nel nostro Paese sono passati dai 5.306.548 del 2020 ai 5.035.643 attuali. “Anche i movimenti migratori – si legge nel dossier – hanno subito una drastica riduzione (-17,4%). In particolare, rispetto al confronto con gli stessi 8 mesi del quinquennio 2015-2019 si è registrata una flessione del 6% per i movimenti interni, tra comuni, e del 42% e 12%, rispettivamente, per quelli da e per l’estero”. Per i due enti della Conferenza Episcopale Italiana “si comincia ad osservare, dunque, tramite gli indicatori demografici l’effetto pandemia che si è attestato in altri ambiti sociali. Si tratta di un effetto prodotto dalla combinazione di molti fattori, fra cui, in primis, le morti causate dal virus, che in Italia hanno toccato una delle cifre più alte in Europa e nel mondo “.

Covid, oltre 165mila contagi di stranieri sul luogo di lavoro
E proprio il Covid ha fatto registrare numeri alti di contagi sui luoghi di lavoro anche tra gli immigrati. Dall’inizio della pandemia al 31 marzo 2021, sono stati 165.528 i casi di coronavirus registrati, secondo le denunce presentate all’Inail. Il 69,3% di questi ha interessato le donne, il 30,7% gli uomini. L’età media dall’inizio dell’epidemia è di 46 anni per entrambi i sessi. Quanto alle nazionalità, i lavoratori contagiati provengono soprattutto da Romania (21,0%), Perù (13%), Albania (8,1%), Moldavia (4,5%) ed Ecuador (4,2%). “È lecito desumere – si legge nel report – che molte situazioni abbiano riguardato donne impiegate nei servizi domestici e di cura alla persona contagiatesi all’interno dei nuclei familiari datoriali”. Se gli infortuni sono complessivamente diminuiti, le morti sul lavoro sono invece aumentate: +27,6% dall’anno precedente (da 1.205 a 1.538) ed oltre un terzo dei suddetti decessi sono stati causati dal Covid. Dei 1.538 esiti mortali, 224 hanno riguardato cittadini stranieri (14,6%) e, in particolare (70% dei casi), cittadini extracomunitari.

A influire sui numeri del contagio e delle morti anche il più basso tasso di vaccinazione tra la popolazione straniera che non ha seguito la stessa tempistica di quella per gli italiani. Nella programmazione delle somministrazioni, si legge, gli immigrati, in particolare quelli presenti nelle strutture d’accoglienza collettive, “non sono stati previsti, se non teoricamente quelli vulnerabili nella salute”. La mancanza di tessera sanitaria ha inoltre escluso interi gruppi di popolazione dalla possibilità di prenotarsi nei portali regionali anche quando per età sarebbe stato possibile. In assenza di indicazioni puntuali, le Regioni e le Province autonome si sono attivate non in modo omogeneo e coordinato e questo ha prodotto “un ritardo strutturale a scapito della popolazione immigrata, anche nel caso specifico nella copertura vaccinale”.

La minore copertura vaccinale tra le persone nate all’estero rispetto a quelle nate in Italia è del 50% contro il 60% degli autoctoni. Tale diseguaglianza è ancor più marcata negli adolescenti e nei giovani adulti (12-29 anni di età), tra i quali la copertura è del 15% nei nati all’estero e del 28% nei nati in Italia, e permane nella fascia di età 30-49 anni (41% contro 49%).

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