Non previene l’osteoporosi. È legato a un maggior rischio in alcuni tipi di cancro, in primis quello al seno, mentre in altri casi viene assolto. Il nodo più critico sta nella quantità consumata e nella differenza tra l’alimento prodotto oggi e quello di cinquanta anni fa. O proveniente da allevamenti biologici e di montagna
Ci sono affermazioni che fanno storcere il naso perché ritenute prive di fondamento. Come quella di Jo Squillo, che recentemente ha dichiarato, durante il Grande Fratello Vip, che suo padre è diventato sordo perché ha mangiato latte di mucca per tutta una vita. Ora, anche se l’affermazione è tutta da dimostrare, esistono ipotesi di una relazione tra grassi saturi e perdita di udito; inoltre, ci offre l’assist per fare un po’ più di luce su una bevanda onnipresente nella nostra alimentazione, ma non per questo priva di criticità. Una delle ragioni per cui si consiglia di bere latte è per il suo contenuto di calcio che ha un effetto benefico sulle ossa. “La letteratura in questo ambito non è univoca, perché molti studi sono stati finanziati dall’industria alimentare che è in chiaro conflitto di interesse su questo aspetto. Ricerche condotte su grossi numeri di soggetti portano in realtà alla conclusione che il calcio è l’elemento utile alla salute delle ossa, ma in associazione all’esercizio fisico e corretti livelli di vitamina D”, afferma la dottoressa Luciana Baroni, medico specializzato in neurologia e geriatria, Presidente della Società scientifica di nutrizione vegetariana.
In particolare, “Nel progetto Epic (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition) una ricerca europea condotta su oltre 500mila persone per conoscere le relazioni tra dieta e salute, abbiamo studiato i fattori associati a 802 casi di fratture dell’anca”, spiega Franco Berrino, noto epidemiologo, già direttore del Dipartimento di medicina preventiva e predittiva dell’Istituto tumori di Milano. E che cosa è emerso? “Che l’incidenza di queste fratture aumentava linearmente con il consumo di carne (verosimilmente perché la carne sottrae calcio alle ossa per tamponare l’acidità dell’eccesso di proteine, e quelle animali acidificano di più delle proteine vegetali), diminuiva con il consumo di vegetali (che apportano calcio, magnesio e potassio, e soprattutto vitamina K, ritenuti indispensabili per la salute delle ossa) e non cambiava con il consumo di latte e formaggi”.
Bambini, adulti e anziani al latte – Il latte lo beviamo fin da piccoli, perché lo riteniamo fondamentale per la crescita della persona. Ma è davvero raccomandabile consumarne già a questa età? “Nel primo anno di vita è sconsigliato bere latte vaccino perché può causare microemorragie e anemia da carenza di ferro”, ci risponde Baroni. “E nelle età successive, non abbiamo evidenze che il consumo di latte sia utile per il bambino, visto che fino all’adolescenza quello che è importante sono adeguate assunzioni di calcio che non devono necessariamente provenire dal latte. Lo stesso discorso vale anche per gli adulti”. Magari nella terza età possiamo recuperarne alcuni benefici? “Sì, se assunto in quantità moderata. Ma poi perché? I nutrienti che apporta sono disponibili a partire da altri cibi. Questo alimento può essere una fonte di proteine e calcio come tanti altri, non possiede nessuna ‘esclusività’”, aggiunge Baroni.
Le criticità sul cancro – Il capitolo più cruciale e delicato è quello dei tumori. Tra i fattori di rischio viene a volte tirato in ballo il latte. Ma anche qui non c’è chiarezza e i rischi di bufale o esagerazioni sono sempre in agguato. Per esempio, “sul tumore della mammella non c’è evidenza ma solo sospetti, in quanto il latte vaccino è ricco di ormoni sessuali che vengono prodotti dalla mucca, che per quasi tutto il tempo della sua vita è gravida, e che possono stimolare la crescita di tumori ormono-sensibili”, chiarisce Baroni. Questo alimento, se bevuto abitualmente, produce nel sangue “concentrazioni più alte di fattori di crescita, in particolare IGF-1, e chi ha più alti i fattori di crescita nel sangue si ammala di più di vari tipi di tumore: della mammella, dell’intestino, della prostata, dell’ovaio”, spiega Berrino. Con il latte e suoi prodotti derivati le cose però si complicano. “Sì, perché se da un lato il latte è con tutta probabilità associato ai tumori della prostata e c’è il sospetto che faccia aumentare anche i tumori dell’ovaio, dall’altro pare associato a un minor rischio di tumori dell’intestino. Nei nostri studi abbiamo trovato una relazione tra consumo di latte e tumori della mammella solo in donne con una predisposizione familiare. Inoltre, uno studio ha riscontrato che le donne che hanno avuto un tumore al seno e che consumano latticini grassi hanno più recidive. Per questa ragione”, sottolinea Berrino, “i ricercatori del Fondo mondiale per la ricerca sul cancro (Wcrf) che hanno esaminato tutti gli studi su dieta e cancro hanno deciso di non dare nessuna raccomandazione sul latte. E non ci sono raccomandazioni nemmeno nel Codice europeo contro il cancro”.
Risultati migliori con il bio? – Il sospetto che emerge da questi dati “è legato al fatto che il latte che si produce oggi è molto diverso da quello di 50-100 anni fa”, prosegue Berrino, “e in una certa misura da quello prodotto dalle attuali fattorie biologiche. A quel tempo le vacche mangiavano erba e le erbe selvatiche, in particolare quelle di montagna, contengono più omega-3, precursori delle prostaglandine antinfiammatorie, mentre il latte convenzionale di oggi, a causa del mais con cui gli animali sono nutriti, contiene più omega-6, soprattutto acido linoleico, che genera poi i precursori delle prostaglandine infiammatorie. In più oggi le mucche vengono munte durante tutta la gravidanza – mentre un tempo lo si faceva solo dopo che avevano partorito – e il latte in questo caso è molto più ricco di estrogeni, gli ormoni che stimolano la proliferazione delle cellule tumorali della mammella. Per cui in linea di massima suggerisco di non bere latte a chi è malato di tumore”, precisa Berrino. “C’è anche un’altra criticità, importante e che in pochi conoscono”, rivela Baroni, “l’aumentato rischio di sviluppare la malattia di Parkinson, che sembra riferibile a complessi meccanismi che ruotano attorno al galattosio, uno dei due monosaccaridi che formano il lattosio, lo zucchero del latte”.
Le fonti alternative di calcio – Si è fatto cenno ad altre fonti di calcio in alternativa al latte: “Premetto che il suo contenuto di proteine è irrisorio e non è di fondamentale contributo a una dieta equilibrata”, continua Baroni, l’unico vantaggio starebbe nell’apporto di calcio. Dobbiamo quindi inserire nella dieta altre fonti di calcio, che sono per forza vegetali dal momento che le carni non ne contengono: in particolare verdure a foglia verde (eccetto spinaci e bieta) e tutti i tipi di cavoli. Con la verdura, l’assorbimento del calcio è il doppio di quello proveniente dal latte”. Possiamo ricavare calcio anche da “legumi e semi oleaginosi della nostra dieta mediterranea”, aggiunge Franco Berrino. “E poi c’è il calcio dell’acqua, prontamente assimilabile perché già in soluzione, e che a seconda dei fabbisogni e delle caratteristiche degli acquedotti può essere di rubinetto o di bottiglia”, conclude Luciana Baroni.
Fonti:
– F. Berrino, Il cibo dell’uomo, Franco Angeli Editore
– www.wcrf.org
– https://epic.iarc.fr/research/osteoporosisfractures.php
– https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/25352269/
– https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0082429