“Guarda che ho preso il numero di targa. Attento che ti vengo a trovare a casa!”.
Questa è stata l’urlata finale di Mario Michele Lanzarotti dopo una mattinata passata a minacciare reporter, cameramen, ragazzi de I Siciliani giovani, dell’Arci e di Fanpage, tutti quanti – secondo lui – “comunisti accattoni” che gli avevano invaso il territorio.
Il terreno, un prato con piscina ad Acireale, veramente non era più suo da un bel po’, visto che la confisca giudiziaria (reati contro il patrimonio, associazione a delinquere di tipo mafioso, associazione a delinquere semplice, ecc.) era scattata già da diversi anni.
Il mese scorso gli attivisti dei I Siciliani giovani e dell’Arci (“Le scarpe dell’antimafia”), in giro per la Sicilia per controllare i terreni mafiosi, avevano verificato la presenza sul posto dei vecchi proprietari, alla faccia dello Stato. E a questo punto lo Stato, risvegliatosi all’improvviso, aveva mandato i carabinieri.
Ma il Lanza, sconfitto ma non domato, ricorre al più moderno strumento politico italiano: la Ruspa. Così, quando i ragazzi tornano a controllare, si ritrovano operai con la ruspa che demoliscono alberi, piscina e pavimento per non lasciar nulla di utilizzabile allo Stato: terra bruciata, come i russi con Napoleone e Annibale coi romani.
Purtroppo la presenza degli attivisti ha rovinato la strategia. A questo punto il Lanzarotti – che aveva cercato di nascondersi fra gli operai “Io Lanzarotti? No, sono suo cugino!” – ha perso la trebisonda e s’è messo a sbraitare minacce che, in bocca a un altro, magari farebbero anche sorridere ma in bocca a una fedina penale come quella del nostro amico fanno un effetto, come dire, poco allegro.
E questo è quanto. Benvenuti in Italia, il paese con la mafia più tollerata del mondo, ma anche con l’antimafia più testa dura, come s’è visto in tante città e paesi della Sicilia in questi mesi. “Le scarpe dell’antimafia” camminano più di prima.