Inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo sull’asse Veneto-Sicilia per concorso in riciclaggio, aggravato dall’aver agevolato le attività di Cosa Nostra. È questa l’ipotesi di reato contestata a un nobile imprenditore lagunare, Francesco Donà Dalle Rose, il cui nome ricorre in un’inchiesta per l’acquisto dell’hotel Torre Macauda in provincia di Agrigento da parte di una nota famiglia mafiosa. Finanzieri del Nucleo di Polizia economica finanziaria del capoluogo siciliano hanno perquisito la casa, lo studio e l’imbarcazione di Donà Dalle Rose su richiesta del procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Guido, e dei pubblici ministeri Piero Padova e Francesca Dessì. I finanzieri hanno acquisito anche i cellulari e i computer in dotazione all’imprenditore.

Contemporaneamente sono stati notificati altri sette avvisi di garanzia. Riguardano il boss detenuto Salvatore Di Gangi, di 79 anni, il figlio Alessandro, di 42 anni, i professionisti Maurizio Lupo e Luigi Vantaggiato (liquidatore di Sicilia Torre Macauda), Anna Maria Lo Muzio, il funzionario di banca Vincenzo Coglitore e l’imprenditore Francesco Corvelli. Perquisite anche le loro abitazioni e gli uffici, assieme a un paio di filiali di banca coinvolte nell’indagine. Gli imprenditori sono accusati di “aver concorso nell’associazione di tipo mafioso Cosa Nostra e, pur non facendovi parte, per aver contribuito all’acquisizione in modo diretto e indiretto, da parte della stessa associazione, della gestione o del controllo delle attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e di servizi pubblici”.

Secondo gli investigatori, la famiglia mafiosa di Sciacca (Agrigento) che fa capo a Salvatore Di Gangi (a suo tempo un fedelissimo di Totò Riina) è rientrata in possesso del complesso turistico Torre Macauda di Sciacca che era stato confiscato all’imprenditore Giuseppe Montalbano. La lussuosa struttura era stata messa all’asta e Di Gangi l’avrebbe acquisita attraverso una società che controllava, la Libertà Immobiliare, che ora ne cura la gestione. L’affare è intricato perché una procedura esecutiva sugli immobili vedeva una filiale Unicredit titolare di un credito. La banca aveva venduto alcuni lotti a Libertà Immobiliare, ma non tutti gli 8 milioni di euro sarebbero stati pagati. Per questo un funzionario dell’istituto di credito è indagato per falso.

Il ruolo dell’imprenditore sarebbe consistito nel finanziamento dell’operazione avvenuta – secondo l’accusa – con la consapevolezza che a tirare le fila fosse Di Gangi. Intervistata dal Gazzettino di Venezia, Chiara Donà Dalle Rose, moglie dell’imprenditore, ha dichiarato: “Purtroppo siamo vittime di un grande equivoco e purtroppo è mio marito la persona indicata”. Dichiarazione diplomatica da parte degli avvocati Marcello Consiglio, Vincenzo Lo Re e Raffaele Bonsignore che assistono Dalle Rose: “I difensori si dichiarano pronti a dimostrare, attraverso un’attività di indagine difensiva, l’estraneità del loro assistito alle ipotesi formulate dalla procura di Palermo, oggetto di indagine. La famiglia si chiude nel più stretto riserbo confidando nell’operato della magistratura”.

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