'Ndrangheta - L'inchiesta delle Procure di Ancona e Reggio Calabria sui progetti di agguato della cosca Crea ha ricostruito appostamenti e sopralluoghi di due sicari, con targhe clonate e documenti falsi. L'indagine è partita dall'omicidio di un collaboratore di giustizia a Pesaro avvenuto nel giorno di Natale del 2018. Al telefono c'era chi diceva: "Devo fare regalo a fratello per Natale se riesco"
“Troviamo una soluzione per questo lavoro che ci danno 150mila euro”. La cifra l’avrebbe sborsata la cosca Crea. Il lavoro, invece, sarebbe consistito in un attentato che gli uomini del boss di Rizziconi erano pronti a portare a termine anche con armi da guerra ed esplosivi per far saltare in aria obiettivi sotto scorta. È quanto emerge dalle inchieste delle Procure di Ancona e di Reggio Calabria che il 4 ottobre hanno eseguito alcuni arresti per associazione mafiosa e per l’omicidio di Marcello Bruzzese, il fratello del collaboratore di giustizia Girolamo Bruzzese ucciso a Pesaro il giorno di Natale del 2018. Uno dei due killer, secondo gli inquirenti, è stato Michelangelo Tripodi che assieme a Francesco Candiloro ha esploso 20 colpi di pistola contro la vittima mentre quest’ultima parcheggiava la sua auto fuori dall’abitazione nel centro della città marchigiana.
La Direzione distrettuale antimafia ha ricostruito gli appostamenti e i sopralluoghi dei due sicari fedelissimi del boss Teodoro Crea detto Toro e dei figli Domenico e Giuseppe Crea. L’obiettivo erano i Bruzzese ma la vendetta, stando alle indagini, avrebbe potuto riguardare anche gli altri fratelli del collaboratore di giustizia. Analizzando a ritroso le schede telefoniche olandesi, che gli indagati utilizzavano abbinate a sistemi software e hardware crittografati, infatti, i pm sono riusciti a risalire ai tentativi di adescamento di altri congiunti di Bruzzese. Un altro fratello del pentito, per esempio, era stato contattato direttamente sul suo cellulare da un finto membro dello staff di Subito.it che, in realtà, “ha cercato di verificarne l’identità – è scritto nel decreto di fermo della Procura di Ancona – e di interagire con lo stesso, verosimilmente per adescarlo e attirarlo in trappola”.
I magistrati hanno ricostruito i viaggi dei sicari che utilizzavano auto con targhe clonate e documenti falsi. Dalla Piana di Gioia Tauro a Brescia passando per Marche, Umbria, Lazio e Emilia Romagna: gli uomini del clan si sapevano muovere sul territorio nazionale come nelle campagne di Rizziconi. L’aspetto più inquietante dell’inchiesta, però, è la sete di vendetta che la cosca Crea anche a distanza di anni nutre nei confronti di tutti quelli che hanno fatto dichiarazioni contro la ‘ndrangheta di Rizziconi.
Se sulla famiglia Bruzzese grava, come scrivono il procuratore di Ancona Monica Garulli e i pm Daniele Paci e Paolo Gubinelli, “una condanna a morte non rimettibile”, i parenti del pentito non sono gli unici obiettivi del clan. Basta pensare alla ferocia con cui, nel 2009, è stato ucciso addirittura un ragazzo di 18 anni, Francesco Inzitari, “colpevole” solo di essere il figlio dell’ex assessore provinciale, Pasquale Inzitari, che è stato coinvolto in un’inchiesta antimafia nell’ambito della quale ha pure collaborato con i magistrati contro la cosca Crea.
Quel delitto è rimasto impunito ma è sufficiente rileggersi gli atti dei processi, anche recenti, per capire come la famiglia mafiosa di Rizziconi ha conti in sospeso e che vuole saldare. Oltre ai magistrati che hanno indagato sui Crea e oltre allo stesso Pasquale Inzitari, scampato qualche anno fa a un agguato, ci sono imprenditori che hanno detto no alla ‘ndrangheta come Nino De Masi, politici come l’ex sindaco di Rizziconi Francesco Bartuccio e giornalisti come Michele Albanese che ha più volte scritto dei Crea sul Quotidiano del Sud”. Vivono sotto scorta, alcuni si muovono con l’auto blindata ma tutti sul territorio e con una spada di Damocle che la ‘ndrangheta vuole abbattere sulla loro testa.
Ecco perché sono preoccupanti le chat trovate dagli investigatori coordinati dal procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri, dall’aggiunto Gaetano Paci e dal pm Francesco Ponzetta. Nella piattaforma SkyEcc, collegata ai numeri di cellulare olandesi utilizzati dagli indagati, ci sono riferimenti anche a un bazooka che, nel novembre 2020, “era già nelle loro disponibilità”.
“Senti una cosa, ma tu il Paz (il bazooka, ndr) usa e getta lo sai usare”. E ancora: “Questo amico ha 150mila euro pronti per pagare il disturbo”. Erano i soldi che la cosca Crea avrebbe pagato sull’unghia per l’attentato che in un primo momento doveva essere commissionato ad alcuni serbi e che, invece, Vincenzo Larosa, l’uomo di fiducia dei Crea, voleva affidare a gente del posto. “Lo faccio fare qui con meno della metà… Vediamo come si può fare per andare in montagna. Il problema (è, ndr) chi la va a mettere. Se tu trovi una persona che fa tutto il lavoro andiamo avanti”. “Fai tu non c’è problema. A noi dà 150mila. Però se parlo con l’amico il lavoro lo dobbiamo fare”. “Oggi parlo, sennò lo facciamo fare ai servi (serbi, ndr)”. “Ma la sera quando rientra a casa, come la vedi tu?”.
I carabinieri del Ros non hanno dubbi che si tratta del progetto di un agguato in grande stile e per il quale gli uomini dei Crea erano disposti ad utilizzare un bazooka ed erano alla ricerca pure di esplosivo: “Cammina con blindata se non la spacca tutta non mi serve. Il C7 e C4 e distruttivo”. La speranza degli arrestati era far scialare – cioè far divertire – i boss e gli affiliati in carcere. Un regalo di Natale per il “fratello” dietro le sbarre che, secondo i pm, “si identifica inequivocabilmente in Domenico Crea”, il figlio del boss Toro Crea: “Dice che basta 1 kg per far saltare un palazzo. A me serve per fare 2 lavori per fratello. Se trovo così altrimenti devo fare tradizionalmente. Almeno si diverte un po’ lì. A parte l’ho promesso…omissis… Devo fare regalo a fratello per Natale se riesco. Così si sciala”. L’esplosivo doveva essere collegato ai due telecomandi: “Se trovo 2 giocattoli, 2 regali devo farli. Uno un bazzuca (bazooka, ndr). E l’altro il c4. E fratello almeno se li fa ridendo. Al 41. Bello così. Gliel’ho promesso. E li mantengo sempre lui lo sa”.
Il pensiero degli affiliati è sempre per i detenuti che devono essere vendicati. È il 21 gennaio 2021 quando Michelangelo Tripodi commenta le ultime condanne ai boss e parla con Gianluca Tassone, un trafficante di droga del vibonese, allora latitante, che deve scontare 15 anni definitivi e che è stato arrestato il 5 settembre scorso a Barcellona. Per loro, i magistrati sono i “bastardi” che “ne fanno arrivare una dietro l’altra – dicono – C’è troppa forzatura. Ci vorrebbe un Ak 47 e go-go sul grilletto. Tempo ci vuole ma le soddisfazioni a modo nostro una alla volta ce le prendiamo”.