L’assalto fascista alla Cgil di sabato scorso presenta vari motivi d’interesse. Esso ha dimostrato l’esistenza di un gruppo organizzato forte di un centinaio di squadristi in grado di muoversi rapidamente ed efficacemente, il che ovviamente costituisce motivo di preoccupazione per ogni democratico e per la grande maggioranza del popolo italiano, il quale, checché ne dica il buon Storace, è fortemente e nettamente antifascista.
La reazione delle forze dell’ordine è stata debole e intempestiva. Chi ha un minimo di conoscenza delle dinamiche della piazza romana, sa benissimo che i reparti celeri e mobili stanziati nella capitale hanno, da soli, la capacità di stroncare qualsiasi moto di piazza, e le dichiarazioni della ministra Lamorgese secondo la quale i responsabili dell’ordine pubblico, pur essendo a conoscenza dell’intento dei fascisti di assaltare la Cgil, si sono astenuti dall’intervenire per evitare problemi peggiori, costituiscono a mio avviso una pezza peggiore del buco.
Se infatti l’intento era noto ed era stato pubblicamente del resto dichiarato da Giuliano Castellino in un suo intervento al comizio di Piazza del Popolo, perché non rafforzare quantomeno il presidio stabilito presso la sede nazionale della Cgil, lasciando invece al loro destino sette celerini sopraffatti e malmenati da qualche decina di picchiatori?
Dubbi che andrebbero chiariti al più presto, anche per evitare nel futuro il riproporsi di situazioni analoghe. L’altro elemento che è emerso in questi giorni è la goffaggine e l’imbarazzo coi quali Meloni e Salvini continuano in sostanza di prestare il loro assenso alle indispensabili ed urgenti misure di scioglimento dei gruppi fascisti, in particolare Forza Nuova.
La prima, colle sue dichiarazioni dalla Spagna, dove partecipava a un raduno del gruppo neofranchista Vox, ha “plagiato”, si immagina involontariamente, Benito Mussolini il quale ebbe a dichiarare a suo tempo che era poco chiara la matrice del delitto Matteotti. Salvini, dal canto suo, evoca la pacificazione nazionale, mettendo sullo stesso piano tutti gli “estremismi” e rifiutandosi anche solo di pronunciare la parola “fascismo”.
E’ chiaro che entrambi ammiccano a parte non trascurabile delle rispettive basi popolari ed elettorali la cui identità è ancora in tutto o in parte fascista. Ma si tratta di un giochino non ammissibile e che, come dimostreranno gli esiti dei ballottaggi, si rivelerà anche elettoralmente poco fruttuoso.
La destra, pur con questi problemi, cavalca comunque un sentimento crescente in settori di ceto medio, sempre più impaurito dalla crisi e la cui paura nutre il razzismo, l’omofobia e la volontà di escludere i diversi e di annientare i poveri, cui i piccolo-borghesi in crisi sono sempre più terrorizzati di essere in qualche modo assimilati. E’ il sentimento che ha alimentato il trumpismo, fenomeno ancora ben lungi dall’essersi esaurito, negli Stati Uniti, così come l’oscena proposta di numerosi governi europei di costruire, a spese dell’Unione, muri di separazione contro i migranti che farebbero impallidire il ricordo di quello di Berlino.
Questo fascismo che serpeggia nel nostro continente e nel mondo occidentale in genere non va certo sottovalutato. Il modo migliore per opporvisi è quello di contrastare su tutti i piani l’azione delle squadracce, adoperando a tal fine ogni mezzo necessario, a partire dagli strumenti legislativi, come la legge Scelba, che ha già trovato applicazione in passato e deve tornare ad essere applicata.
Ma altrettanto, se non più importante, è svuotare il mare nel quale tentano di nuotare opportunisticamente i fascisti, riprendendo con forza la bandiera della rappresentanza degli interessi popolari, troppo a lungo abbandonata da forze politiche e sindacali. Anche l’annosa questione del green pass va affrontata in quest’ottica, riaffermando la primazia del diritto al lavoro e ponendo quindi a carico delle aziende il costo dei tamponi in tutti casi nei quali questi ultimi si rendano necessari, e procedendo contemporaneamente sulla strada dell’obbligo vaccinale e del rafforzamento della sanità pubblica.
I cortei organizzati dai sindacati di base in oltre quaranta città italiane lo scorso lunedì 11 ottobre hanno dato un primo forte segnale nella direzione giusta, scontrandosi in alcuni casi, come a Prato, collo squadrismo organizzato da settori padronali che hanno mandato contro gli operai gente da loro pagata armata di mazze da baseball. Ma occorre giungere al più presto a uno sciopero generale con al centro gli obiettivi del blocco dei licenziamenti e della difesa in genere dei diritti inalienabili di lavoratrici e lavoratori. La Cgil ha precise responsabilità in questo senso e deve farsene carico con urgenza.
E’ anche importante che il presidio antifascista convocato dalla stessa Cgil per sabato prossimo 16 ottobre a San Giovanni abbia successo e sia costellato di molte bandiere rosse, dato che il cuore del movimento antifascista in Italia è sempre stato costituito dalle forze della sinistra, comuniste in primis, che hanno dato il maggior contributo alla Resistenza. Cosa che occorrerebbe ricordare anche a certi dirigenti del Pd di matrice democristiana, a partire da Letta.