Affidare ai miei ricordi l’eulogia funebre di Alitalia mi riempie di emozioni forti anche abbastanza difficili da mettere per scritto e in realtà non so davvero da dove cominciare.

Una premessa corre d’obbligo: io sono entrato nel “Gruppo Alitalia” attraverso una serie di circostanze abbastanza bizzarre. Ero comandante sul Fokker-27 del Fondo Aiuti Italiani in Somalia quando fui contattato da un comandante ex-ATI per entrare in Aliblu, neonata società del Gruppo che operava il Jetstream 31, transitai poi sul Learjet 35 della Aereoleasing di Ciampino (affiliata alla CAI) e poi approdai con un corso “direct entry” all’ATI sul DC9-30 alla fine degli anni 80. Successivamente, quando con un graduale processo di integrazione ATI si fuse con Alitalia, entrai nella compagnia di bandiera. Insomma, non avevo il sangue blu di chi usciva dalla scuola Alitalia di Alghero ma di contro avevo l’invidiabile esperienza di avere volato con dei grandi maestri quali erano i nostri comandanti ed istruttori in ATI, quasi tutti provenienti dall’aereonautica militare.

In realtà la bonaria rivalità tra gli equipaggi condotta ATI e Alitalia era appunto assolutamente questa: del tutto bonaria. Gli aneddoti e battute erano continui, “loro” ci chiamavano “bassotti” perché l’ATI aveva iniziato come compagnia aerea con il Fokker 27, un eccezionale e robustissimo turboelica che però rispetto ai jet dei nostri cugini AZ volava più “basso”, appunto. Per non parlare della nostra presunta ma in realtà anche oggettivamente scarsa conoscenza della lingua inglese… un celebre “misunderstanding” da parte di un nostro equipaggio nell’esecuzione di un circuito di attesa sul radiofaro di Zurigo ci costò una battuta della quale non ci siamo mai più liberati: “Bassotto, fai la holding su Saronno che a Zuringo nun te vonno!”. Bellissima! L’elenco degli affettuosi sfottò è pressoché infinito.

Ma vorrei parlare dell’ambiente Alitalia nel suo contesto lavorativo perché questo è per me un tema particolarmente caro: la nostra compagnia di bandiera è stata indubbiamente un gigante del trasporto aereo globale, non tanto nei numeri ma nel prestigio che ha costruito e mantenuto nella sua lunga e splendida vita, prima dell’inevitabile declino su un viale del tramonto alquanto dissestato. Il servizio a bordo con la leggendaria cucina della prima classe, la classe degli equipaggi di cabina, l’eccellente addestramento dei piloti ritenuti a ragione tra i migliori a livello globale (circostanza questa confermata dai pochi incidenti gravi che ci videro coinvolti), tutti questi elementi resero Alitalia un punto di riferimento.

Ma su questo non mi dilungo perché sono fatti ben noti. È delle mie personali memorie di Alitalia che voglio parlare, esse potrebbero non trovare tutti i miei ex-colleghi d’accordo ma… sono le mie e le mantengo come un prezioso ed insostituibile ricordo.

Nei due principali ambienti di lavoro che hanno costituito ed arricchito la mia vita adulta, la qualità dei rapporti umani con i colleghi è sempre stata l’elemento in assoluto più importante. E, aggiungo, in questo sono stato molto fortunato. Alitalia è stata una grande realtà italiana che, per quanto riguarda anche il personale di volo, ha creato grandi sinergie difficili da replicare. I miei ricordi sono a dir poco fantastici: tra i piloti, non tutti andavano d’accordo o si stavano particolarmente simpatici ma nella stragrande maggioranza dei casi si imparava a convivere serenamente con le inevitabili diversità di carattere. Il collante era il mitico, immenso, Manuale Operativo nei cui meandri trovavi la risposta a qualsiasi dilemma tecnico (e non solo).

Negli anni 90 importammo dagli americani i corsi relativi alla gestione del fattore umano nel coordinamento delle azioni in cabina di pilotaggio soprattutto in situazioni anomale o di emergenza: fu una splendida esperienza ma ricordo che tutto quel prezioso bagaglio volto ad ottimizzare i rapporti operativi ed interpersonali nel cockpit fu per noi interessante ma non costituì una novità assoluta.

Anche da quel punto di vista Alitalia era davvero avanti. Le gerarchie erano ben definite e mai messe in discussione per un semplice motivo: i nostri comandanti ed i nostri istruttori/controllori erano, salvo, rarissimi casi, dei veri fuoriclasse. Indipendentemente dal grado o rango di provenienza, ogni neo-assunto pilota iniziava come “secondo ufficiale di seconda”, ovvero una misera striscia dorata sulla manica della divisa… della nostra elegantissima, meravigliosa ed ambita divisa in doppiopetto blu (talvolta lievemente personalizzata con indubbio gusto) che ci faceva distinguere in ogni aeroporto del mondo.

Poteva capitare quindi che un ex-istruttore di F-104 in aeronautica militare si trovasse con una striscia dorata a destra di un suo ex-allievo comandante: la lista d’anzianità regolava le nostre carriere ma… non i nostri rapporti personali. Personalmente ho sempre cercato di imparare da chi ne sapeva più di me senza grossi problemi di ego. Ciò mi ha salvato la vita in più di una occasione ma in ATI prima ed Alitalia poi avevi solo l’imbarazzo della scelta: la qualità, esperienza e competenza dei nostri comandanti era tale che un copilota aveva solo due semplici scelte da fare: aderire strettamente agli standard di compagnia e limitarsi a fare professionalmente il suo lavoro oppure decidere di prendere un “Phd” nell’arte del volo imparando ad ogni turno e con ogni nuovo comandante qualche nuovo “segreto”.

Anche i più anziani ed apparentemente burberi comandanti gradivano trovarsi accanto un giovane copilota desideroso di migliorarsi: bastava essere molto educati, anche un po’ formali se necessario ed arrivare alla presentazione per il volo con 10 minuti di anticipo. I nostri patriarchi erano davvero dei pozzi di scienza e se volevi pescare… non c’erano limiti. Ci insegnavano come relazionarci con il personale di cabina nella maniera più efficace e financo amichevole al fine di sapere sempre affrontare situazioni talvolta difficili, imparavamo a gestire i rapporti con il personale di terra, l’azienda ed anche… i controllori di volo che spesso, in certi orari, erano sempre gli stessi. Ovviamente tutto questo è completamente cambiato ma quando, ad esempio, il volo AZ611 (un Boeing 747) arrivava a Fiumicino dal JFK prima dell’alba spesso controllori e piloti si riconoscevano dalla voce ed il fattore umano giocava fortemente in favore della sicurezza e fluidità del traffico aereo.

Ricordo personalmente un controllore di volo del radar di avvicinamento di Napoli Capodichino, lo chiamavamo “Occhio della Notte”, i suoi turni principalmente notturni quando ATI arrivava e partiva con i DC9-30 “postali” nel cuore della notte, talvolta con condizioni meteo marginali: “Occhio della Notte” ti portava per mano verso l’atterraggio con un tono di voce sempre calmo, caldo e suadente soprattutto se ti sentiva in difficoltà.

Tutto questo meraviglioso ambiente di lavoro anche allargato al di fuori della cabina di pilotaggio era stato creato negli anni, nei decenni da uno sforzo collettivo che era l’impostazione Alitalia, del tutto focalizzata all’eccellenza… almeno negli anni migliori e più lunghi della sua lunga vita.

So che questi miei ricordi così positivi ma anche così personali ed emotivi non possono prescindere da altre considerazioni: Alitalia ha vissuto una lunga, splendida e prospera vita vivendo al di sopra dei suoi mezzi effettivi, è stata un serbatoio gigantesco di clientelarismo, posti di lavoro, voti e politica nelle sue espressioni più miserabili ma io quella parte non l’ho nemmeno sfiorata. Sono orgoglioso di avere servito il mio Paese anche nella capacità di pilota della nostra gloriosa ex-compagnia di bandiera: quegli anni rimangono uno dei miei ricordi più cari anche se mi rendo conto che i forse i miei riferimenti e quegli stessi ricordi stanno diventando inesorabilmente obsoleti.

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