Le epidemie accadono e accompagnano l’umanità da tempi immemorabili, in misura tanto più rilevante quanto maggiori sono le dimensioni delle comunità umane. Noi tendiamo a dimenticare questa verità perché almeno nelle società più ricche molti fattori protettivi capaci di limitare i danni sono costantemente messi in atto: igiene pubblica, nutrizione adeguata, antibiotici, controllo dei vettori, etc. Per questo le epidemie nei paesi avanzati non hanno più le dimensioni drammatiche che potevano avere soltanto un secolo fa. Il Covid, sebbene sia una epidemia di modesta gravità rispetto alla peste o al vaiolo, ci coglie di sorpresa e ci scopre impreparati ad accettare che, rispetto alle forze della natura, siamo deboli.
La paura della nostra debolezza ci spinge a cercare spiegazioni e colpe: la gente muore perché si fanno errori nelle misure di contenimento, perché la sanità è insufficiente (ma se fosse sufficiente in corso di epidemia sarebbe enormemente ridondante e costosa al di fuori di essa), etc.: non siamo capaci di accettare che essere vivi comporta necessariamente il rischio di morire. Tanto per restare con i piedi per terra: in Italia muoiono ogni anno, in media, circa 650.000 persone; nei quasi due anni del Covid si sono verificati ben più di un milione di decessi, un decimo dei quali dovuto all’epidemia; ma noi spinti dalle notizie quotidiane sembriamo pensare che il Covid sia la principale causa di morte nel paese.
Il panico, gonfiato da un’informazione morbosa e da una politica interessata, porta la gente non solo ad accettare, ma addirittura a richiedere misure di contenimento straordinarie, imposte con rigore inflessibile: dopo tutto, se la malattia è una colpa, richiede punizioni. Siamo ricaduti in una logica peggio che medievale, perché almeno nel Medioevo l’untore era un nemico ed era sano, oggi è il malato, cioè la vittima stessa della malattia. In questo delirio millenaristico, e a seguito delle strategie di contenimento a gran voce richieste, il tessuto sociale si lacera. Pochi pensatori più attenti ci avevano avvertito per tempo del rischio, Giorgio Agamben e Massimo Cacciari per primi, ma noi li abbiamo derisi. Oggi la lacerazione è in atto e non possiamo fare altro che registrarla.
Il green pass è stato un punto di non ritorno, perché ha annullato la solidarietà sociale. I lavoratori vaccinati, anziché sentirsi sicuri per il proprio vaccino, chiedono con forza il green pass che li protegga dal contatto con i non vaccinati, gli unici che ancora rischiano veramente la vita. I no-vax, free-vax e no-green pass mettono in atto manifestazioni contro la misura ma anche, indirettamente, contro i loro colleghi: gli uni vogliono lavorare anche senza vaccinazione, gli altri non li vogliono vicino a sé. L’affermazione, sempre ripetuta da entrambe le parti: “La tua libertà finisce dove comincia la mia“, è il frutto della stupidità indotta dalla paura, perché significa in effetti: “quella che tu ritieni sia la tua libertà finisce dove io ritengo che cominci quella che io ritengo sia la mia” ed è ovvio che su queste basi non esiste dialogo possibile.
Della lacerazione sociale, come sempre accade, approfittano fascisti e neofascisti per sembrare più numerosi di quelli che sono e per mettere in atto impunemente, grazie alla confusione generale, le loro provocazioni e azioni delinquenziali.
Il problema oggi è uscire da questa spirale di irrazionalità e ricucire una lacerazione che divide categorie sociali che dovrebbero essere unite: lavoratori con lavoratori, studenti con studenti, etc. È necessario recuperare alcune conquiste culturali e morali che davamo per acquisite e che invece sono state perdute: la malattia non è una colpa; il malato è la vittima di un evento più forte di noi; l’epidemia è causata dal virus e non dagli untori; la vaccinazione è un diritto ma non un dovere; chi non si vaccina rischia prima di tutto per se stesso, mentre chi si vaccina è protetto; c’è un limite alla protezione che lo stato può fornire e uno ancora più stretto a quella che lo stato può imporre, perché ogni protezione è un limite non solo alla libertà del cittadino, ma ai rapporti sociali tra i cittadini.
E soprattutto: noi non siamo immortali, la nostra vita è costantemente a rischio per mille cause delle quali il Covid è soltanto una – e neppure la più importante.