I Macko sono entrati nella scena videoludica competitiva italiana tutt’altro che in punta di piedi: senza arroganza, sia chiaro, ma con la lucidità imprenditoriale che serve per fare il proprio ingresso in un settore ancora poco espolorato e con pochissima letteratura che possa spiegare in modo semplice come approcciarlo. E i risultati conquistati in questi primi 17 mesi hanno dato loro ragione: due volte campioni del PG Nationals di League of Legends, campioni del PG Nationals di Rainbow Six Siege alla prima partecipazione e un’ottima presenza a livello europeo.
Per conoscere meglio la loro realtà abbiamo intervistato qualche settimana fa il Ceo Antonio “Macko” Todisco, già famoso e conosciuto nel mondo dei tatuaggi: è suo infatti il franchising di tattoo shop presente in diverse città italiane. La cui base operativa è però in Puglia, a Monopoli, dove si trova anche la sede dell’organizzazione esports da lui fondata.
Qual è il bilancio della vostra esperienza come Macko nel mondo esports dopo più di un anno?
Siamo in questo settore esattamente da 17 mesi e settembre rappresenta il nostro primo compleanno competitivo. Abbiamo iniziato proprio un anno fa con la Challenger League di R6 Siege, chiudendo in Top 8. Di lì abbiamo costruito quel metodo di lavoro e di scouting che ci ha portati a chiudere l’anno con 3 campionati vinti, quindi un bilancio abbastanza positivo. Tale anche se considerassi i passi fatti al di fuori del competitive. Abbiamo messo insieme una struttura operativa e un affiatato gruppo di lavoro che ad oggi conta più di 10 persone tra dipendenti e collaboratori: abbiamo sviluppato un ambiente professionale che ci ha permesso di far bene sin da subito nell’ecosistema esportivo italiano con personalità e determinazione.
Potendo tornare indietro, è un investimento che rifareste?
Assolutamente sì, magari calibrando diversamente gli asset sin da subito in base all’esperienza fatta. L’unico rimpianto è per gli orari di lavoro a cui questo mondo è abituato, non mi aspettavo cosi tante notti in bianco.
Qual era la percezione della scena esports italiana dal di fuori?
Quando ho iniziato a studiare il settore la sensazione e l’aspettativa erano quelle di un sistema rodato e sostenibile. Dall’esterno e senza conoscenza specifica la percezione è di una nicchia di mercato rosea e professionale, autosufficiente e abbastanza organizzata, con tutte le prerogative tipiche italiane ma in forte espansione e con la direzione verso l’internazionalizzazione.
Qual è la vostra percezione della scena esports italiana ora che ne fate parte?
Ormai mi conosci e sono sempre sincero e trasparente. Purtroppo sono rimasto un po’ deluso: ho trovato un settore in confusione organizzativa per molti aspetti. Ancora molto lontano dall’essere autosostenibile e con molte difficoltà, ma la sfida è accettata anche in questo.
Un anno, tre trofei e protagonisti anche in Europa: come si costruisce un successo così immediato?
Innanzitutto con precisa organizzazione e puntando sulle competenze. Competitivamente sono partito subito dall’organizzare il “backstage”, iniziando dalle figure chiave all’interno del settore integrandole in un sistema lavorativo in cui avevo già decenni di esperienza. Supporto massimo a dipendenti e giocatori, ambiente di lavoro funzionale e sostenibile, affiatamento tra le parti ma senza confonderne le responsabilità, obiettivi e scadenze precise. L’asset della Gaming House o comunque di un ambiente di lavoro condiviso e tangibile è fondamentale. Tutto deve funzionare in sinergia, le difficoltà si incontrano quotidianamente ma la risoluzione dei problemi deve essere alla base delle competenze. Studiare continuamente il settore, capirne le necessità e crearsi un’identità: ciò che abbiamo realizzato ad oggi rappresenta un 10% di quello che sappiamo di dover fare e che stiamo costruendo con ritmo e pianificazione.
Rainbow Six Siege, Valorant e League of Legends: i titoli su cui siete più presenti sono tutti giochi di squadra. È una coincidenza o una precisa volontà?
Il gioco di squadra rappresenta da sempre l’essenza massima della competizione, le sinergie che si creano, il team building, l’affiatamento ma anche la condivisione di gioie e dolori, sono tutti aspetti che ci affascinano dell’esports. Questo non preclude che in futuro possiamo integrare, cosi come abbiamo fatto quest’anno con Fifa.
Oltre i giocatori, anche il coaching staff ha la sua importanza: e voi lo avete capito fin da subito. Sbaglio?
Fondamentale. Coaching staff e team manager ma con reali e tangibili capacità ed esperienza: i team non devono autogestirsi in nessun caso o aspetto della loro carriera se vogliono ambire a raggiungere la cima. Ad ognuno il suo ruolo e i suoi obiettivi. In questo anno ci siamo affiancati e abbiamo modificato diverse figure all’interno del reparto coaching, mantenedo sempre il nocciolo duro dimostratosi meritevole e sostituendo solo lì dove vedevamo delle necessità perché in questo settore è importante dare continuità.
La gaming house è un vero punto di forza dei Macko: quanto incide secondo voi sulle prestazioni dei giocatori?
Incide positivamente in una buona parte non solo sulla prestazione esportiva ma anche sulle attività generali della nostra organizzazione. Gli uffici amministrativi, esecutivi e creativi sono qui, parte del coaching staff e i manager vivono in gaming house anche in off season e ben presto ci apriremo agli streamer che contribuiranno alla crescita del brand. Nel dettaglio i player vivono qui una situazione di assoluta tranquillità e focus sull’obbiettivo. Il nostro supporto è 24/7 coprendo ogni aspetto delle loro necessità: vitto, alloggio, palestra, piscina, transfer, attività extra sportive. Tutte queste vanno poi ad aggiungersi a quelle lavorative dirette: gaming room, media e press. Come dicevo è un asset primario, dovrebbe essere quasi obbligatorio, sarebbe come immaginare di aprire una società atletica e non avere l’impianto sportivo. È molto impegnativo, questo sì, considerando ogni aspetto quotidiano, le figure coinvolte e la copertura 24/7: anche l’impegno economico è elevato. Però rientra tra i benefit contrattuali ed è tenuto in forte considerazione dai giocatore in fase di negoziazione contrattuale.
Quali sono le attuali difficoltà presenti nella scena Esports italiana e come si potrebbero risolvere?
Una domanda davvero difficile a cui rispondere in poche parole e con concetti semplici. Provo a sintetizzare senza approfondirne troppo i dettagli. Principalmente la mancanza di una definizione della categoria e dell’attività economica, servirebbe istituire una Lega Pro e istituire un “cartellino del player”. Gli incentivi economici sono sbilanciati da parte di Organizer e Publisher a differenza di altre nazioni. Abbiamo un numero ancora troppo basso di organizzazioni stabili che contribuiscono realmente alla crescita della scena italiana, non da meno la scarsa collaborazione proattiva tra esse. In molti casi le competenze sono sovrastimate e tante realtà celate, quasi mascherate, ma una volta analizzate in realtà si dimostrano inconcrete. Una nota dolente va purtroppo anche alla community, in percentuale troppo alta e poco attenta, poco meritocratica e poco educata. Tossicità e superficialità comunicativa intasano purtroppo chat, stream e social media, minando la credibilità del settore agli occhi di Stakeholder e Sponsor. In Italia la percezione comune è sbagliata sul rapporto che lega Org, Player e staff. Queste tre figure sono imprescindibili l’una da l’altra, troppa importanza viene data al sostegno e salvaguardia dei singoli player ma poca a chi li supporta quotidianamente permettendogli di fare il loro lavoro rendendo possibile tutto il sistema esportivo. Probabilmente questa ultima situazione è viziata dal numero ancora elevato di inadempienze, o come si dice in gergo scam (truffe nda), di realtà celate che si approfittano dell’entusiasmo e poca attenzione di ragazzi inesperti e ineducati al mondo del lavoro, colpevoli in parte di alimentarne il fenomeno. Tuttavia con queste parole non voglio affossare o mettere in cattiva luce il settore: sono piuttosto un resoconto di quello che servirebbe nell’immediato futuro per sostenere la crescita del settore e capire da dove partire per migiorarlo. Professionalizzazione, riconoscimento e inquadramento della categoria lavorativa, sostegno concreto da parte di Tournament organizer, Publisher e parti coinvolte, educazione della community.
Gli esports sono considerabili sport o sono due mondi totalmente lontani?
Dipende, dal punto di vista della struttura economica sicuramente si, dal punto di vista prettamente atletico non del tutto. La componente mentale, così come la preparazione alla gara e la formazione attitudinale sono fattori comuni. Diversa la preparazione fisica ovviamente e le capacità richieste. Quello che i player esportivi potrebbero importare dagli sportivi è la cura dell’immagine e la professionalizazzione della stessa.
Su Twitter hai affermato che i club di calcio dovrebbero stare fuori dall’esports: puoi spiegarci meglio il perché?
Specificando che mi riferivo comunque alla scena italiana, ritengo che il calcio qui purtroppo non è sempre esempio di efficienza ed integrità. Molte società calcistiche sono in continua difficoltà finanziaria: il bilancio al 2021 racconta di perdite accumulate negli ultimi 5 anni per 1,6 miliardi e debiti per 4,6, l’azienda calcio in Italia è fallita da anni e si affida alle plusvalenze fittizie per mascherarne il crac. Il Covid poi non ha che peggiorato la situazione.
Quindi sarei ben più felice nel sapere che ad investire nell’esport siano aziende molto più sane e capaci.
Progetti futuri?
“Tanti” può essere la risposta più esaustiva! Abbiamo in programma per l’inizio del 2022 un secondo round d’investimenti che ci vedrà consolidare la nostra posizione societaria. Questo porterà all’incremento dell’esposizione sui titoli maggiori più l’inserimento di nuove compagini sia competitive che d’intrattenimento. L’apertura al pubblico della nostra gaming house, l’aumento dell’attività nella nostra sede a Garbagnate e l’inizio dei progetti per la terza sede in una città strategica. Rimarremo solidi e uniti nel reparto tecnico, garantendo continuità a quel metodo di lavoro che ci ha portato in pochi mesi a trionfare in Italia. Ne approfitto infine per ringraziare tutti i tifosi e gli appassionati che ci hanno accolto in questo settore e che continuano a sostenerci nelle varie competizioni.