Tre anni d’indagine, centinaia di ore di intercettazioni e una mole sterminata di carte arrivano, per la prima volta tutte insieme, al vaglio di un giudice. L’udienza preliminare che si apre venerdì a Genova di fronte al gup Paola Faggioni inaugura il processo nei confronti di 59 tra tecnici e dirigenti – attuali e passati – di Autostrade per l’Italia e della controllata per le manutenzioni Spea, funzionari e consulenti del ministero delle Infrastrutture accusati di aver provocato la strage del ponte Morandi, che il 14 agosto 2018 uccise 43 persone. “Un passaggio delicato e fondamentale”, lo definisce al fattoquotidiano.it il procuratore facente funzioni, Francesco Pinto, che ha raccolto il testimone da Franco Cozzi andato in pensione ai primi di luglio. L’indagine condotta dai sostituti Walter Cotugno e Massimo Terrile, dice, mostra “un quadro di estrema incuria e cinismo” da parte di chi doveva garantire la sicurezza della rete autostradale.
Alla vigilia del processo, un bilancio del lavoro della Procura e un auspicio.
Abbiamo raccolto una quantità imponente di dati e prove (quasi 60 terabyte di materiale informatico, ndr). La parte più difficile è stata ricostruire i fatti storici e formalizzare le accuse che abbiamo contestato agli imputati, diverse per ciascuno a seconda dei rispettivi ruoli di garanzia: secondo noi, in sostanza, ognuno aveva un obbligo giuridico di attivarsi per impedire quel che è successo, e invece non lo ha fatto. Ora c’è un passaggio delicato e fondamentale: il gup dovrà fare da primo filtro sulla validità di questa ricostruzione. L’auspicio è che si arrivi a un rinvio a giudizio in tempi rapidi.
Tre anni di indagini preliminari sono tanti. Si poteva fare più in fretta?
In realtà non sono stati tutti dedicati all’attività d’indagine. Più di un anno è servito a svolgere i due incidenti probatori, il primo dei quali ha fotografato le condizioni della struttura, il secondo le cause del crollo. Si tratta di fasi anticipatorie del dibattimento, servono a cristallizzare dati oggettivi che poi entreranno nel processo: in particolare la maxi-perizia che ha sviscerato la dinamica del disastro, già acquisita nel contraddittorio delle parti con valore di prova.
Serviranno a velocizzare le fasi successive?
Noi speriamo di sì. Siamo fiduciosi che l’udienza preliminare possa chiudersi entro l’anno, come da calendario del giudice (che ha fissato l’ultima udienza al 22 dicembre, ndr). Il dibattimento sarà una fase più complicata, ma l’auspicio è che possa concludersi comunque in modo abbastanza veloce. Dipenderà anche da quante prove saranno ammesse: conosciamo quelle dell’accusa, non ancora quelle delle difese.
A questo proposito, gli avvocati degli imputati più importanti – tra cui l’ex ad di Autostrade Giovanni Castellucci – hanno annunciato di voler ricusare subito il gup, Paola Faggioni, perché è lo stesso magistrato che ordinò l’arresto di Castellucci e dei suoi colonnelli Berti e Donferri nell’ambito del procedimento sulle barriere antirumore pericolose. Il primo segno di un atteggiamento ostruzionistico?
Questo processo è talmente delicato che nessuno si aspetta collaborazione da parte delle difese. Però ci aspettiamo lealtà, pur nei diversi ruoli. Chiedere di ricusare il giudice è un diritto degli imputati: poi si tratta di capire se la richiesta è genuina o strumentale, e noi non sappiamo ancora come verrà argomentata. Ciò che posso dire è che per la Procura non c’è motivo per cui la dottoressa Faggioni non debba presiedere all’udienza.
I sostituti Terrile e Cotugno hanno allegato alla richiesta di rinvio a giudizio uno schema con le date di prescrizione dei vari reati. I primi salteranno già a ottobre 2023. Ci saranno anche qui quelle sacche d’impunità già viste in altri processi di grande impatto sociale?
Si tratta di reati minori, non delle accuse più gravi. Tuttavia il rischio che qualcosa si prescriva già in primo grado c’è, inutile negarlo. E più accuse si estinguono più le eventuali pene si riducono. Quel calendario serve proprio per consentire al Tribunale di valutare i tempi: i colleghi giudicanti sono consapevoli dell’importanza di arrivare al più presto a fare giustizia e non abbiamo dubbi sulla loro serietà. Spesso però i ritardi non dipendono da colpe dei magistrati ma da carenze d’organico, perché i giudici sono pochi e i fascicoli troppi. Per questo auspichiamo anche soluzioni organizzative interne che diano la massima priorità a questo procedimento. In Procura, ad esempio, abbiamo scelto di dedicarvi due magistrati in modo esclusivo, sollevandoli dal lavoro ordinario.
In molti temono che anche l’improcedibilità prevista dalla riforma Cartabia possa mettere a rischio le condanne. La ministra ha rassicurato i parenti delle vittime, ma la norma potrebbe essere considerata retroattiva e applicabile anche ai reati commessi prima del 2020.
È un problema strettamente tecnico. L’improcedibilità è un istituto nuovo e dovrà passare per le decisioni dei giudici: non appena la questione sarà sollevata, capiremo se prevale la lettera della legge che ne limita l’applicazione ai reati commessi dal 2020 in poi o se passerà l’interpretazione contraria. Per adesso non ci siamo posti il problema, ma di certo è un ulteriore rischio che potrà presentarsi in Appello.
Lei ha coordinato le indagini anche sugli altri filoni della sicurezza autostradale, nati da quello sul crollo del ponte: le gallerie, i falsi report, le barriere antirumore. Che idea si è fatto della gestione del sistema nel suo complesso?
Non posso espormi più di tanto, perché rappresento una delle parti in causa. Quello che però emerge dal materiale probatorio – e in particolare dalle perizie, sia la nostra che quella del gip – è un quadro di estrema incuria e cinismo riguardo ad aspetti fondamentali della sicurezza da parte di chi avrebbe dovuto occuparsene. E non parlo solo del ponte Morandi, ma dell’intero tronco autostradale. Ora la sfida è tradurre questo dato oggettivo in responsabilità penali soggettive da attribuire agli imputati.
Che significato ha avuto, per voi pubblici ministeri, condurre un’indagine dall’impatto emotivo e sociale così forte?
Quando accadono tragedie di questa dimensione, il dovere dei magistrati di fronte alla comunità è spendersi fino in fondo nell’accertamento dei fatti. E in questo non si può prescindere dal confronto umano con le vittime, un patrimonio che è entrato a tutti gli effetti a far parte del procedimento. Dal punto di vista operativo, invece, serve una perfetta sinergia tra i pubblici ministeri, le forze di polizia giudiziaria e i consulenti tecnici. Il buon esito di un’indagine complessa dipende dalla capacità della Procura di creare questo meccanismo virtuoso. Noi speriamo di esserci riusciti, ma questo lo dirà solo il processo.