Non c’è dubbio che il progetto di convocare un Sinodo italiano sia stato morbidamente imposto dal Papa ai vescovi d’Italia. Che poi Francesco abbia convocato un Sinodo mondiale della durata di due anni – che dovrà cominciare nelle prossime settimane con una seria ricognizione dal basso nelle parrocchie e nelle diocesi – è un tegola cascata sulla testa di una gerarchia abituata ad un verticismo secolare.

I vescovi italiani, passati attraverso la stagione di Wojtyla, Ratzinger e la presidenza Cei del cardinale Ruini, hanno introiettato un istintivo rifiuto e nei casi più benigni una diffusa paura nei confronti di tutto ciò che possa assomigliare ad una consultazione reale delle opinioni e dei bisogni della base ecclesiale – in particolar modo delle donne, sia laiche che suore – specialmente se espressi in documenti risultanti da una votazione.

Fu il cardinale Ruini, irritato perché al terzo convegno ecclesiale di Palermo nel 1995 la commissione Giovani si stava muovendo “fuori linea”, a decidere che da allora in poi non ci sarebbero più state votazioni nei lavori di commissione. Un modo per frenare sul nascere qualsiasi manifestazione di volontà proveniente dal mondo dei semplici fedeli, se non preventivamente concordata e concessa dall’alto.

Durante il pontificato di Francesco, all’epoca del primo Sinodo sulla famiglia, la Cei evitò una concreta consultazione della base – come fu fatto ad esempio in modo trasparente dai vescovi tedeschi o svizzeri – per fare emergere cosa pensassero i cattolici italiani sui problemi dei rapporti familiari e sessuali, del divorzio e delle seconde nozze.

Con il sinodo mondiale, da lui progettato, papa Bergoglio chiede esattamente l’opposto. Chiede una Chiesa dell’ascolto. Capace di ascoltare particolarmente i fedeli “perplessi e titubanti”, specifica il cardinale maltese Mario Grech, segretario generale del sinodo. “Comunione, partecipazione, missione” sono i tre concetti chiave del Sinodo universale. Inaugurando l’assemblea sinodale sabato 9 ottobre il pontefice ha sottolineato che la mancanza di partecipazione provoca disagio e sofferenza negli operatori pastorali e soprattutto nelle “donne che spesso sono ancora ai margini”.

Tutto questo dovrebbe avere una ricaduta nel modo con cui la Chiesa italiana affronterà il proprio cammino sinodale nazionale. Nell’approccio con cui il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, si accinge all’impresa, questo intento si avverte. Nel documento diffuso adesso dal Consiglio permanente della Cei si definisce “urgente… (iniziare con) un ascolto paziente e capillare” di tutte le componenti del popolo di Dio – particolarmente le donne, i giovani e i poveri – e si esprime una netta volontà di riforma, lasciando da parte la tentazione restauratrice di una Chiesa-museo.

Cosa significhi in concreto lo ha illustrato sull’Avvenire don Dario Vitali, direttore del dipartimento di teologia dogmatica all’università Gregoriana: “Per molti secoli la Chiesa è stata concepita come una piramide… i membri della Chiesa erano divisi in due corpi distinti e separati: chi stava sopra e comandava, esercitando ogni funzione attiva, e chi stava sotto e doveva solo obbedire ed eseguire”.

Insomma il paradigma va rovesciato. Per chi osserva il mondo cattolico appaiono due i nodi da sciogliere. Il primo, divenuto urgente, riguarda l’inserimento delle donne nelle istanze decisionali della Cei, esattamente nei posti “dove si decide e si esercita autorità” (come affermò Francesco all’inizio del suo pontificato, riferendosi al coinvolgimento delle donne nel governo della Chiesa). Papa Bergoglio ha nominato una suora francese, Nathalie Becquart, sottosegretario al Sinodo (mondiale) dei vescovi: prima donna con diritto di voto. La conferenza episcopale tedesca ha nominato segretario generale la teologa laica Beate Gilles, con partecipazione diretta al governo della Chiesa in Germania.

Cosa impedisce di accogliere già ora nel Consiglio permanente della Cei esponenti femminili degli ordini religiosi e del laicato, quando all’ordine del giorno vi siano temi riguardanti il cammino sinodale nazionale e mondiale? Attualmente i vertici della Cei sono una struttura tutta maschile, tutta clericale, che regna su molteplici organismi sottoposti. Se, come dicono i vescovi italiani nei loro documenti, c’è da impegnarsi per costruire una “Chiesa per tutti”, nulla dovrebbe ostacolare che già oggi rappresentanze femminili partecipino alle commissioni Cei della Famiglia, della Cultura, della Sanità, dell’Educazione cattolica, del Dialogo ecumenico, dei Problemi sociali.
Attendere un nebuloso post-2023 aumenterà il rischio di una gestione burocratica del cammino sinodale. La Chiesa italiana è già in ritardo per quanto riguarda il coinvolgimento della donna.

Il secondo punto riguarda la necessità di dare una voce di partecipazione reale ai fedeli impegnati nella vita ecclesiale. La vecchia consulta per l’apostolato dei laici, poi ribattezzata consulta delle aggregazioni laicali, non ha mai esercitato un ruolo autonomo. Anche perché i vari movimenti – si chiamino Comunione e liberazione, Sant’Egidio, Focolarini o Rinnovamento dello Spirito – hanno sempre preferito rimanere gelosamente all’interno delle proprie fortezze, chiamati semmai a raccolta dalla Cei in funzione gregaria quando si trattava di sabotare il referendum sulla fecondazione assistita o le unioni civili (Dico) proposte dal governo Prodi.

Manca un coordinamento dei cattolici italiani, che comprenda veramente tutto l’associazionismo compresi i partecipanti alle comunità di base, compresi i fedeli uomini e donne impegnati nei consigli pastorali e parrocchiali. Un coordinamento nazionale, che possa esprimersi liberamente e regolarmente sui problemi cruciali della Chiesa in Italia, sui temi pastorali e di presenza nella società.

L’episcopato italiano è posto di fronte a scelte coraggiose. Deve decidere in che direzione andare.

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