È l’Artico il “terzo incomodo” tra il prezzo del gas alle stelle e la guerra geopolitica tra Usa e Russia. Gazprom, Total e ConocoPhillips hanno già raccolto moltissimi fondi per cercare fossili nella regione (attraversata da una forte attenzione alla anche voce cyber sicurezza). Si tratta di 230 miliardi di sterline tra prestiti e sottoscrizioni provenienti da banche commerciali per investire nell’Artico, a dimostrazione di un’attenzione sempre più crescente lì dove non si può non notare un incremento delle mire internazionali, su un’area che potrebbe rappresentare un potenziale energetico ancora non scientificamente quantificabile, ma che comunque presenta prospettive molto concrete, nonostante la strategia Ue è di fatto opposta: la Commissione sostiene una moratoria sull’estrazione di idrocarburi dall’Artico.
JPMorgan Chase figura al primo posto tra gli investitori con 18,6 miliardi di dollari, seguito da Barclays con 13,2, Citigroup con 12,2 e BNP Paribas con 11,8. La Russia ha già in mano licenze per un’area dove, secondo le stime di Mosca, potrebbero esserci almeno 64 milioni di tonnellate di petrolio e 146 miliardi di metri cubi di gas naturale. Sul punto si registra il forte attivismo di Gazprom Neft che punta ai diritti di licenza per l’area di Ust-Yenisey nell’estremo nord della penisola di Taymyr, nell’area in cui il fiume Yenisey sfocia nella baia di Yenisey. La richiesta è stata elaborata dall’agenzia mineraria russa Rosnedra. Ma non è tutto: sulla costa del mare di Laptev si trova il giacimento di Kyuchus, potenzialmente in grado di contenere più di 175 tonnellate d’oro. Per Mosca sarà uno dei più grandi progetti di estrazione dell’oro e il suo sviluppo include la costruzione di una centrale nucleare. L’estrazione dell’oro è condotta in diversi luoghi dell’Artico russo, incluso l’estremo nord dove la società Sezar-Arktika ha diverse licenze minerarie.
Non si è fatta attendere la risposta americana. Lo scorso 5 ottobre si è tenuto per tre giorni il forum di esperti dell’Arctic Coast Guard Forum (ACGF) con rappresentanti di Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti: obiettivo la ricerca e la pianificazione di future esercitazioni in loco. Se da un lato al centro delle discussioni c’è stato ufficialmente il tema della cooperazione con la guardia costiera per promuovere attività marittime responsabili nell’Artico, dall’altro non si può non notare come si stia evolvendo, in chiave geopolitica e militare, questo nuovo terreno di scontro tra super players impegnati nella gara per aggiudicarsi le risorse energetiche.
Due settimane fa il presidente americano Joe Biden ha annunciato la nomina dei sei commissari della U.S. Arctic Research Commission (USARC): Michael Sfraga (presidente), Elizabeth Ann Cravalho, David Michael Kennedy, Mark D. Myers, Jackie A. Richter-Menge, Deborah Vo. Forniranno una guida per attuare la ricerca scientifica nell’Artico, con attenzione anche alle prospettive industriali.
Inoltre è di pochi giorni fa il lancio del satellite americano Landsat 9, forte di un background quarantennale quanto a dati raccolti: il primo Landsat risale al 1972. Il satellite studierà l’evoluzione di suolo, foreste e ghiacciai inquadrandoli nel macro tema dei cambiementi climatici e funzionerà fino al 2030, proprio in un decennio in cui gli scienziati prevedono che l’Artico potrebbe, per un breve periodo, diventare finalmente libero dai ghiacci. E quindi appetibile per chi ne vorrà sfruttare le risorse. Se ciò accadrà, allora Landsat 9 sarà il primo satellite a catturare questo punto di svolta.