Fin troppo facile anticipare l’ennesimo attacco: “Hanno lavorato così poco che c’è stato pure il tempo di scrivere racconti”. Ed è proprio questo tipo di stigmatizzazioni, spesso prive di ogni dato di realtà, che ha inizialmente spinto l’Associazione nazionale navigator (A.N.N.A.) a invitare associati e non a raccontare il loro lavoro al fianco dei percettori del Reddito di cittadinanza. Non per eludere le questioni di merito, alle quali l’Associazione ha dedicato un nutrito report (scaricabile qui) per evidenziare i risultati, ma anche le mancate opportunità di una professione nata tra mille difficoltà: dalle inefficienze della burocrazia a quelle dei sistemi informatici, dall’inadeguatezza di molti centri per l’impiego ai periodi di stallo dovuti alla pandemia. Ma per testimoniare che i numeri, qualunque uso se ne voglia fare, non esauriscono la complessità sociale a cui il Reddito di cittadinanza si è rivolto, né sono in grado di quantificare il lavoro fatto dai circa tremila navigator in questi due anni.
“Chiedere a un navigator quanti posti di lavoro ha trovato è come chiedere a un giornalista quante persone ha davvero informato”, riflette Giulia Elisa Martinozzi, vicepresidente dell’Associazione e curatrice del libro “Navigator (a vista) Storia e storie del reddito di cittadinanza” edito da Mimesis (2021). “Una domanda sbagliata, a partire dal fatto che i navigator non creano posti di lavoro né procedono alle assunzioni. Ma soprattutto perché il posto di lavoro non lo può trovare qualcun altro, per questo la politiche si chiamano attive, perché non possono prescindere dall’attivarsi dell’utente a cui sono rivolte”, spiega. Il contest avviato tra ottobre 2020 e gennaio 2021 ha raccolto settanta racconti giudicati da una giuria esterna. Una selezione di questi compone il volume con l’introduzione del sociologo Domenico De Masi. “I navigator sono stati spinti nel tritacarne della Storia, nello scontro planetario tra Stato e mercato, tra neo-liberismo e socialdemocrazia, tra destra e sinistra, tra Movimento 5 stelle e tutte le altre formazioni politiche e mediatiche che lo hanno contrastato”, scrive De Masi. Eppure, come gli stessi navigator si sono resi conto, il libro non è semplicemente un’autodifesa. Anzi, fotografa finalmente la famosa platea del Reddito di cittadinanza e cosa significhi davvero riattivare queste persone. Come il signor P., che incontra una navigator siciliana al suo primo giorno di lavoro. Il racconto di quell’incontro, che qui di seguito pubblichiamo, è il vincitore del concorso.
Incontro con un navigator (Emmettì, Sicilia)
Siracusa, 01- 02 – 2020
– Sei pronta? Dai, è tardi, sbrigati.
– Arrivo, arrivo.
Corro letteralmente dietro a mio marito, entro in ascensore, tiro su la zip dello stivale che è rimasta aperta e per poco non faccio cadere il computer che devo ancora infilare in borsa, poi con l’unica mano libera metto il rossetto prima che l’ascensore arrivi al piano terra. Mi guardo, perfetta… insomma! Se sei madre di tre figli e vuoi permetterti il lusso di lavorare non devi andare tanto per il sottile.
In macchina finalmente ho qualche minuto per rilassarmi e posso riflettere con calma. Quando penso intensamente a qualcosa, assumo un’espressione accigliata e mi compare una ruga al centro della fronte.
– Sei preoccupata?
– Un po’, oggi iniziamo i colloqui di orientamento, sarà la prima volta che mi troverò a tu per tu con un beneficiario e sono tesa. Ieri ho rivisto il manuale, so cosa dire e cosa non dire, ma non so cosa mi diranno loro. Va bene dai, sono arrivata, poi ti racconto.
Entro nel salone che ci hanno messo a disposizione all’Ufficio Provinciale del lavoro con qualche minuto di anticipo. È un grande stanzone freddo, totalmente disadorno, senza né quadri né tende alle finestre. Una lampadina campeggia al centro della stanza e la luce del sole, che nella mia terra è sempre generosa, filtra attraverso dei vetri incrostati di polvere. Nella stanza ci sono solo quattro imponenti scrivanie e otto sedie che hanno conosciuto bene il ventesimo secolo. Non è molto, ma ci sentiamo dei privilegiati ad avere a disposizione questo spazio per lavorare. Le mie tre colleghe, che oggi sono in turno con me, sono già arrivate; vedo nei loro occhi la mia stessa ansia. Gli altri colleghi sono alla sede dove mi sono recata ogni giorno per circa cinque mesi, quello che un tempo si chiamava Ufficio di collocamento. Siamo in quattordici e ci siamo organizzati in turni per offrire tutti i servizi che ci sono richiesti, tenendo conto degli orari e degli spazi a disposizione.
Al Centro per l’Impiego sono stati molto accoglienti con noi e ci hanno permesso di essere di aiuto. Abbiamo pianificato le convocazioni e affiancato gli operatori nei primi appuntamenti, attività prettamente amministrativa ma che permette di avere un primo incontro conoscitivo con i beneficiari; abbiamo, inoltre, allestito una stanza, un po’ arrangiata per la verità, per fare una breve presentazione a circa trenta beneficiari alla volta, per illustrare i diritti e i doveri previsti dalla normativa a carico di chi percepisce il Reddito di Cittadinanza. Riusciamo a fare tre presentazioni al giorno.
Oggi per la prima volta siamo separati su due sedi, perché iniziamo i colloqui di orientamento e non c’è abbastanza spazio per tutti all’Ufficio di collocamento. Ho giusto il tempo di collegare il computer ed entra il mio primo beneficiario. Sono elettrizzata! Sono fatta così, anche agli esami all’università, ricordo, l’ansia mi si trasformava in una carica adrenalinica. E oggi, a quasi cinquant’anni, mi sento ancora una volta sotto esame.
Lo guardo avvicinarsi e fingo una totale disinvoltura. In realtà non è una finzione, è più un atteggiamento. Mi spiego: prima di fare il navigator, in una delle mie vite precedenti, tra le altre cose, ho studiato recitazione, e so che se non senti un’emozione non puoi trasmetterla a chi ti sta di fronte, quindi io non fingo di essere a mio agio, respiro profondamente e “sono” a mio agio.
– Buongiorno sig. P., si accomodi.
– Buongionno.
Il sig. P. si siede e mi sorride, mostrandomi il suo unico dente. Non è la prima volta che vedo una persona con una bocca così mal ridotta; prima di iniziare questo lavoro non mi era mai capitato, ma al Centro per l’Impiego ne ho viste tante. Ancora non mi abituo. Reprimo una smorfia di dolore e restituisco il sorriso. Riguardo la scheda che ho davanti e resto sbalordita: l’anziano signore con i capelli bianchi, il viso solcato profondamente da rughe di espressione, la barba incolta, dimostra all’incirca settant’anni, ma ne ha 48!
– Sig.P. vedo che lei ha 48 anni, ha la licenza media e ha fatto il bracciante agricolo fino a tre anni fa, giusto?
Non è facile avviare una conversazione personale con un perfetto sconosciuto e ho pensato che, per rompere il ghiaccio, partire dalle informazioni che posso reperire dalla banca dati del Centro per l’Impiego può essere una buona strategia. Può essere, ma non è detto.
– Nossignore! Cu cciu’ rissi?
Io non sono siciliana, ma vivo a Siracusa sin da quando ero bambina e per fortuna il siciliano lo capisco bene: “Cu cciu’ rissi”, vuol dire “chi glielo ha detto”.
– Mi scusi, non ha 48 anni?
– Nonsi, ho 48 anni, ma ho la terza elementare, e non mi veggogno!
Vedo che vuole spiegarsi e lo lascio parlare.
– Quando ero picciriddo, a casa mia eravamo otto figghi, e soldi non ce n’era.
Il sig.P. accompagna le parole con il gesto della mano tipico di chi indica la mancanza, ma gli occhi, in totale contrasto con le sue parole, gli ridono e assume l’espressione nostalgica di chi ricorda un tempo in cui, nonostante le difficoltà, era felice.
– Allora, mio padre, buonanima, mi mandò in campagna a lavorare. E io ho sempre travagghiato! – e così dicendomi mi mostra orgogliosamente delle enormi mani callose.
– Non c’era niente ca con queste mani io non poteva fare; ho costruito più muri a secco io che ‘na ditta di costruzioni! Ho zappato, arato, raccolto olive, patate, potato alberi…
– E poi cosa è successo? Perché non lavora più?
– Tre anni fa mi venne un infarto e nuddu, nessuno, più mi vuole più a travagghiare, si scantano, hanno paura ca moru! Ora, però, lei mi trova un lavoro, è vero?
La domanda è netta, non ammette giri di parole. Deglutisco. Un infarto! Che cosa gli dico adesso? Che cosa ci faccio io qui? Io ho una laurea in Economia, questo lavoro lo so fare? So redigere un bilancio consolidato, so occuparmi di fatturazione e di questioni commerciali, so di certo fare il lavoro della mia vita precedente, il lavoro che ho lasciato volontariamente sette anni fa per occuparmi di tre figli piccoli e di due genitori ammalati. Ma questo lavoro è diverso, qui non si tratta di numeri o prodotti, qui ho di fronte una persona, il suo futuro.
Cosa gli dico adesso? Vorrei alzarmi e andarmene, ma incrocio lo sguardo del mio interlocutore e vedo nei suoi occhi la speranza, non lo posso deludere. Ce la posso fare.
– Sig. P. come pensa che la possa aiutare? Cosa pensa di poter fare?
– Iu? E che posso fare? Lei me lo deve dire. Io ho lavorato 41 anni sotto il sole, mi sono letteralmente spaccato la schiena e adesso non servo più a niente!
Non so perché lo guardo e mi viene in mente l’asino grigio di Rosso Malpelo, che tutta la vita ha tirato i carichi fuori dalla cava, morto di stenti e di vecchiaia e dato in pasto ai cani nella sciara.
– Le piacerebbe prendersi la licenza media?
Mi guarda e ride. – Ma iu sugno scecco!
– No, lei non è scecco, non è un asino, semplicemente non ha potuto studiare e comunque non è più indietro di altre persone che frequentano il Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti. Avete tutti più o meno la stessa età ed avete lasciato presto la scuola. Certo, questo non significa che lei debba fare i compiti in classe come uno scolaretto, il programma è studiato proprio per persone con le sue esigenze; imparerà molte cose utili, un po’ di italiano, di matematica, come funziona internet, qualche nozione di educazione civica, cos’è un conto corrente, insomma, cose interessanti e utili.
– Se non ci vado, mi toglie il Reddito? A mia mi serve, io ora posso mangiare.
– No, sig. P., nessuno glielo toglie, stia sereno, è solo che a fronte del Reddito è giusto che lei faccia un piccolo sforzo per migliorare la sua situazione, la consideri un’opportunità che le viene offerta, non un’imposizione. Lei ha avuto un infarto, ma è ancora giovane. Non può fare lavori pesanti, ma può trovare un lavoro meno faticoso di quello che ha sempre fatto. Una volta ottenuta la licenza media, e io sono sicura che lei che è una persona sveglia e intelligente la otterrà certamente, può frequentare un corso di formazione regionale gratuito e prendere una qualifica… Poi vedremo, intanto iniziamo.
– Mi piacerebbe fare il fioraio, sempre mi è piaciuto, sono bravo.
– Bene, troveremo un corso per lei.
– E se boccio?
– Chi può saperlo se non prova?
– Allora, va bene.
– Perfetto allora, la chiamo non appena aprono le iscrizioni, spero prestissimo.
Mi alzo e gli tendo la mano per congedarlo. Il sig. P. si alza e la stringe con tutt’e due le mani tese. Non so nel resto d’Italia, ma quando in Sicilia ti stringono con entrambe le mani hai ricevuto un tributo di massima approvazione. Non mi lascia. Sembra che gli occhi gli siano diventati lucidi.
– Grazie dottoressa, ma ce la posso dire una cosa? Non è che si siddia, come dire, l’offendo? Io non me l’aspettavo che eravate così, pensavo che oggi dovevo firmare una carta e poi “il Signore l’accompagna!”. A mia nessuno mai mi ha parlato come a lei oggi.
Non so cosa dire. Restituisco la stretta di mano e lo accompagno alla porta.
Il mio primo appuntamento è andato abbastanza bene. Il panico è durato poco. Provo la sottile euforia di chi pensa che ha lanciato un piccolo sasso nella direzione giusta.
Ho un paio di minuti di pausa, ne approfitto per leggere i messaggi sul cellulare. Abbiamo un gruppo, noi navigator del mio Centro per l’Impiego, su cui condividiamo notizie, novità normative, annunci di lavoro. Guardo le notifiche, ho ancora un lieve sorriso sul volto, poi leggo l’ennesimo articolo denigratorio portato alla nostra attenzione da una mia collega: “Navigator, inutili fannulloni! Ignobile spreco di denaro pubblico”.
Il sorriso svanisce e provo tanta pena per chi, forte solo della sua ignoranza, fa degli insulti la sua ragione di vita. Per un attimo mi sento avvilita, poi ricordo le parole che mi diceva sempre una persona saggia che ho avuto la fortuna di incontrare nella mia vita: “Lavora a testa bassa e non ti preoccupare, il lavoro paga sempre!”. Mi rianimo e sono pronta a ricominciare.