Sull’ergastolo ostativo per i mafiosi così come per lo scioglimento delle organizzazioni neofasciste serve unire il fronte delle forze democratiche, con generosità. Solo così si potrà capire chi sta da una parte e chi dall’altra.

La Repubblica italiana si tiene insieme peggio o meglio a seconda di quanto si sanno ritrovare e riconoscere all’occorrenza le forze politiche su quelle fratture profonde; faticosamente, dolorosamente, ma mai del tutto ricomposte: il fascismo e la mafia. Fascismo e mafia hanno entrambi a che fare con un perverso modo di concepire il fondamento del patto sociale e il conseguente modo di gestire l’ordine pubblico, un modo che non è ancora stato estirpato completamente e che anzi, di tanto in tanto, per un motivo o per un altro, mostra di godere del sostegno nostalgico e feroce di componenti non trascurabili della società italiana.

Ed è proprio in queste occasioni, quando il rigurgito di compiacenza dilaga nauseabondo, che le forze politiche democratiche, anti-fasciste e quindi anti-mafiose, è bene che sappiano ritrovarsi unite, nonostante le differenze che normalmente le contraddistinguono. È successo proprio questo in Parlamento con la presentazione della mozione per lo scioglimento delle organizzazioni neofasciste: al di là di ogni altro sofisticato distinguo, la mozione ha avuto il merito di funzionare da “reagente” e coagulare le forze che ritengono che non si possa più tollerare la presenza di questi soggetti, contrapponendole a quelle che invece, di obiezione in obiezione, preferiscono alimentare l’ambiguità.

In Commissione Giustizia (Camera) si sta presentando un’occasione analoga, ma sul fronte dell’antimafia. È noto che il Parlamento debba mettere mano alla riforma del cosiddetto ergastolo ostativo per i mafiosi: le sentenze di Cedu e Corte Costituzionale hanno decretato la illegittimità della presunzione assoluta di pericolosità sociale in capo al mafioso in assenza di collaborazione e questo nonostante la correzione già avvenuta nel 2014, che opportunamente aveva individuato i casi di collaborazione impossibile e dunque inesigibile, aprendo un varco ragionevole nella ostatività. Ma tant’è.

In Commissione Giustizia è depositato, tra gli altri, un testo che viene riconosciuto da diversi osservatori come adeguato canovaccio per avviare i lavori ed è il testo a prima firma Ferraresi, del M5S. Il Presidente della Commissione, l’onorevole Perantoni anche lui M5S, ha provato a far adottare questo testo come “testo base”, scontrandosi con diverse resistenze, alcune legittime, che hanno rallentato l’iter e ridato fiato a chi su questa riforma intende speculare irresponsabilmente. Così il Presidente ha deciso di convocare un Comitato ristretto con i rappresentanti di tutti i partiti per concordare un nuovo “testo base” che possa rappresentare un punto di partenza maggiormente condivisibile.

Ha fatto bene! Sono convinto che questa decisione avrà lo stesso effetto “reagente” della mozione antifascista e sono convinto che servirà a rilanciare l’iter di questo intervento legislativo necessario. Ci sono almeno due fatti di questi giorni che, tanto quanto l’assalto alla sede della Cgil sul fronte neofascista, dicono della gravità strisciante della violenza mafiosa: l’esecuzione in pieno giorno del pregiudicato Paolo Salvaggio a Buccinasco e il fucile puntato in faccia ad un bambino nel ristorante di Casavatore.

Chi non lo capisce o è un imbecille o è un colluso.

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