Tancredi Vella vive a La Valletta, dove si occupa di gestione del rischio. Originario di Brescia, non pensa di tornare in futuro. Ma non ora: "La formazione in Italia è ottima, soprattutto a livello teorico. Il mondo del lavoro però è arroccato su sistemi arcaici"
“Terminati gli studi ho cercato un posto di lavoro ma ricevevo solo rifiuti. Mi sentivo in colpa e ho iniziato a deprimermi, ero ingrassato e vedevo tutto nero. Oggi ho ripreso il sorriso, faccio progetti, ho un quadro più chiaro dell’uomo che voglio essere. Questa spinta, però, l’ho trovata fuori dall’Italia”. Tancredi Vella, 30enne originario di Ospitaletto, in provincia di Brescia, oggi vive e lavora a Malta dove si occupa di gestione del rischio e applicazione delle norme per un società di consulenza. Poco dopo la laurea in Giurisprudenza all’Università di Brescia Tancredi ha iniziato a mandare curriculum come molti giovani laureati, e come molti di loro ha trovato ovunque le porte chiuse. “Dopo un anno sono riuscito a trovare uno stage in una società di consulenza bancaria di Milano – racconta –, nel frattempo avevo iniziato un master in risk management. Prendevo 800 euro al mese, impossibile viverci in una città come Milano”. Così, Tancredi decide di alzare lo sguardo e inizia a fare applicazioni in tutta Europa: risponde l’Irlanda. Un’importante società internazionale di gestione del risparmio a Dublino gli offre un contratto: “Un altro stage ma questa volta con uno stipendio che mi permetteva non solo di vivere ma di risparmiare anche qualcosa”.
Con l’arrivo del Covid il mondo si ferma. Trancredi torna in Italia ma “ormai quello che avevo visto a Dublino non mi invogliava a rimanere”. Una consapevolezza che lo porterà a prendere un biglietto aereo per La Valletta quando una nota società di consulenza finanziaria gli fa un contratto a tempo indeterminato. Nessuno stage: “Ora ho uno stipendio con cui posso fare dei progetti per il mio futuro”. Ma non è solo una questione di soldi. “Sia qui che a Dublino ho potuto gestire dei progetti, dei budget. Nessuno mi ha fatto pesare il 91 preso come voto di laurea o la mia provenienza da un ateneo non così famoso: mi è stata data fiducia, qualcosa che nel nostro Paese scarseggia da tempo”. Meritocrazia, autonomia, concreta possibilità di mettersi in gioco e rischio da parte di un’azienda che scommette su qualcuno. “Mi hanno dato la possibilità di crescere in un ambiente di lavoro dove si è spesso solidali tra colleghi, dove si fa squadra per ottenere un risultato – spiega –, mi sono stati lasciati gli spazi per agire in autonomia”. L’ambiente, poi, è giovane “con un’età media di 35anni”. E spesso questo fa la differenza, soprattutto in lavori che richiedono approcci nuovi. “Nella mia breve esperienza a Milano ho potuto constatare quanto fosse profonda la rigidità intergenerazionale, che spesso si traduce in rigidità mentale”. Mentre all’estero “sei una risorsa e non un ostacolo”. “Qui a 30anni si può già essere direttori: non devi sperare di diventare un influencer per ritagliarti una posizione. Si può aspirare a mettere su famiglia con le proprie forze, comprando anche una casa senza l’aiuto dei genitori”.
L’Italia, però, rimane un Paese dove la formazione è buona: “Soprattutto sulla teoria, e questo ti permette molta versatilità rispetto la formazione anglosassone che rimane troppo specifica su certe materie o comparti”. Però, poi, ci si scontra con un mondo del lavoro arroccato su sistemi “arcaici”. “Ci sono lavori nell’antiriciclaggio che in Italia richiedono dieci anni di esperienza, mentre all’estero sono di più facile accesso – e sottolinea – qui non c’è molta differenza tra pubblico e privato, non hai un posto garantito come se dovessi vincere un concorso in Italia. Il contratto te lo fanno, poi se vai bene resti altrimenti a scadenza ti mandano via”. Tancredi non esclude un rientro in futuro, ma non ora. “Il nostro Paese è troppo indietro rispetto certe dinamiche lavorative e contrattuali. Si parla tanto di cervelli di ritorno, eppure sento spesso che se non hai fatto carriera in Italia non vieni ben visto – conclude –. Ad esempio ci sono delle certificazioni internazionali che all’estero ti possono far raddoppiare lo stipendio in base alla posizione: in Italia neanche sanno cosa siano. Mi dispiace che ci sono amici in Italia vittime di un sistema lavoro precario, da parte mia invece sono felice di vedere finalmente le mie ali spiegarsi”.