“Il futuro delle politiche contro la povertà nel nostro paese è, oggi più che mai legato al buon funzionamento del Reddito di cittadinanza. È, quindi, da qui che occorre partire per disegnare interventi sempre più adeguati a una povertà in evoluzione”. È la conclusione cui arriva il Rapporto 2021 sulla povertà e l’esclusione sociale della Caritas, secondo cui il Reddito di cittadinanza, che nel corso del 202o ha supportato complessivamente 3,7 milioni di persone a livello nazionale, ha interessato uno su cinque degli utenti di centri e servizi dell’organismo della Conferenza episcopale italiana e più della metà (55%) dei beneficiari di una indagine longitudinale sugli assistiti Caritas monitorati dal 2019 (pre-pandemia) al 2021.

“A due anni dalla sua introduzione e dopo un anno e mezzo di pandemia, occorre verificare il funzionamento della misura per capire che cosa cambiare del RdC e renderlo adatto agli scopi che si prefigge”, si legge nel rapporto che propone un pacchetto di questioni da affrontare per “rafforzare e migliorare il RdC nella prospettiva di rispondere alle trasformazioni della povertà“. Una persona su cinque (19,9%) di quelle accompagnate da Caritas nel 2020, ha appunto dichiarato di percepire il Reddito di Cittadinanza. Tra gli italiani l’incidenza dei percettori sale al 30,1%, scende invece al 9,1% tra gli assistiti stranieri. Nelle regioni del Mezzogiorno l’incidenza di chi percepisce la misura è molto più elevata (pari al 48,3%), rispetto alle regioni del Nord (23,4%) e del Centro (8,5%).

IL “RIORDINO” DEL REDDITO – L’Agenda Caritas per il riordino del Reddito di cittadinanza punta su quattro aspetti essenziali. Innanzitutto il miglioramento della capacità della misura di intercettare la povertà assoluta: oggi ancora più della metà delle famiglie in questo stato non riceve il RdC. Si tratta soprattutto di famiglie povere che tendono più di frequente a risiedere nel Nord, ad avere figli minori, ad avere al loro interno un richiedente straniero ad avere un patrimonio mobiliare (risparmi) superiore alla soglia fissata come requisito di accesso. In secondo luogo la Caritas mira alla previsione di un pacchetto complessivo di interventi che prevedano l’ampliamento di alcuni criteri di accesso come gli anni di residenza richiesti; le soglie del patrimonio mobiliare; le soglie economiche al Nord; una scala di equivalenza non discriminatoria verso le famiglie più numerose e che non le sfavorisca rispetto ai nuclei con uno o due componenti.

Contestualmente però si propone di restringere altri criteri come le soglie economiche per le famiglie di una persona e di due persone potendo contare su altre risposte dedicate sulla base delle proprie esigenze (nel caso per esempio di lavoratori una maggiore offerta in sostegni per la conciliazione o interventi che promuovano l’occupazione femminile). Infine le politiche attive, con il miglioramento e il rafforzamento di servizi e azioni per l’inserimento lavorativo, inclusi gli incentivi al lavoro per chi è già occupato e gli interventi da pensare per chi non è occupabile. Ma anche, quarto e ultimo punto, l’inclusione sociale con interventi coordinati con i Centri per l’Impiego, le ASL e gli altri attori locali e il supporto e affiancamento degli Ambiti Territoriali Sociali nella traduzione operativa delle indicazioni normative e delle opportunità finanziarie rese disponibili agli ATS.

GLI INTERVENTI DELLA CARITAS – Nel 2020, la rete Caritas in Italia ha complessivamente supportato 1,9 milioni di persone, una media di 286 individui per ciascuno dei 6.780 servizi promossi o gestiti dallo stesso circuito delle Caritas diocesane e parrocchiali. “Delle persone sostenute nell’anno di diffusione del Covid-19, quasi la metà, esattamente il 44%, ha fatto riferimento alla rete Caritas per la prima volta proprio in questo tempo, senza particolari differenze tra italiani e stranieri”, spiega il Rapporto. Disaggregando i dati per regione si scorgono alcune importanti differenze territoriali che svelano quote di povertà “inedite” molto più elevate; tra le regioni con più alta incidenza di “nuovi poveri” si distingue la Valle d’Aosta (61,1%,) la Campania (57,0), il Lazio (52,9), la Sardegna (51,5%) e il Trentino Alto Adige (50,8%). Così come si scorgono importanti differenze legate all’età: per i giovani adulti di età compresa tra i 18 e i 34 anni le nuove povertà pesano per il 57,7%.

Quanto alla scolarità, oltre la metà delle persone che hanno chiesto aiuto al circuito Caritas (il 57,1%) ha al massimo la licenza di scuola media inferiore, percentuale che tra gli italiani sale al 65,3% e che nel Mezzogiorno arriva addirittura al 77,6%. “Siamo quindi di fronte a delle situazioni in cui appare evidente una forte vulnerabilità culturale e sociale, che impedisce sul nascere la possibilità di fare il salto necessario per superare l’ostacolo”, sottolinea la Caritas. Il 64,9% degli assistiti dichiara di avere figli (percentuale che in valore assoluto corrisponde a oltre 91 mila persone); tra loro quasi un terzo vive con figli minori (pari a 29.903 persone).

“Il dato non è affatto irrisorio se si immagina che dietro quei numeri si contano altrettante, o forse più, storie di povertà minorile che ci sollecitano e allarmano”, commenta il Rapporto secondo il quale oltre il sessanta per cento delle persone incontrate dalla Caritas (63%) vive in abitazioni in affitto, da privato (47,9%) o da ente pubblico (15,1%). Le persone senza dimora sono state invece 22.527 (pari al 16,3% del totale), per lo più di genere maschile (69,4%), stranieri (64,3%), celibi (42,4%), con un’età media di 44 anni e incontrati soprattutto nelle strutture del Nord.

Quanto al 2021, nei primi 8 mesi dell’anno dei nuovi poveri seguiti da Caritas nel 2020, “le cui richieste di aiuto possiamo immaginare fortemente correlate alla crisi socio-sanitaria legata alla pandemia, oltre i due terzi (esattamente il 70,3%) non ha fatto più ricorso ai servizi Caritas – sottolinea lo studio -. È un dato, questo, che si presta a una lettura ambivalente. Da un lato può essere preso come un segnale di speranza e di ripartenza; al contempo però non possiamo non occuparci e preoccuparci di quel 29,7% di persone che ancora oggi nel 2021 continuano a “non farcela” e che rischiano di vedere in qualche modo “ossificarsi” la propria condizione di bisogno”. A preoccupare, tra il resto, la situazione dei poveri “intermittenti” (19,2%), che oscillano tra il “dentro- fuori” la condizione di bisogno, collocandosi a volte appena al di sopra della soglia di povertà e che appaiono in qualche modo in balia degli eventi, economici/occupazionali (perdita del lavoro, precariato, lavoratori nell’economia informale) e/o familiari (separazioni, divorzi, isolamento relazionale, ecc.).

PIU’ POVERI ASSOLUTI DOPO IL COVID – Tutto questo in un contesto in cui le statistiche ufficiali sulla povertà, fornite da Istat e vari organismi internazionali dimostrano come in questo tempo ci sia allontanati rispetto a molti degli obiettivi dell’Agenda 2030 di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, come nota la Caritas. In particolare rispetto al contrasto alla povertà (goal 1), solo in Italia si contano oltre 1 milione di poveri assoluti in più rispetto al pre-pandemia, arrivando al valore record di persone in stato di povertà assoluta, 5,6 milioni (pari a 2 milioni di nuclei familiari). L’incidenza delle famiglie in povertà assoluta si conferma più alta nel Mezzogiorno (9,4%), anche se la crescita più ampia, registrata da un anno all’altro, si colloca nelle regioni del Nord (dal 5,8% al 7,6%). Tale dinamica fa sì che se nel 2019 le famiglie povere del nostro Paese erano distribuite quasi in egual misura al Nord (43,4%) e nel Mezzogiorno (42,2%), nel 2020 si giunge rispettivamente al 47% e al 38,6%, con una differenza in valore assoluto di 167mila nuclei.

LA CRESCITA AL NORD – “È un forte segnale di cambiamento che costituisce l’esito di un percorso iniziato già da tempo e che partiva dalla situazione inversa; solo tre anni fa, nel rapporto Caritas 2018 denunciavamo come nelle regioni del Mezzogiorno si concentrasse quasi la metà di tutti i poveri d’Italia”, commenta l’organismo pastorale della Cei. Anche passando dalla dimensione familiare a quella individuale, il Nord si conferma come la macro-area con il peggioramento più marcato, con un’incidenza di povertà assoluta che passa dal 6,8% al 9,3% (è il Nord-Ovest l’area maggiormente penalizzata). Sono così oltre 2 milioni 554mila i poveri assoluti residenti nelle regioni del Nord e 2 milioni 259 mila quelli del Mezzogiorno. Su livelli di fragilità più contenuti si collocano le aree del Centro Italia, che registrano un’incidenza del 6,6%, per un totale di 788mila poveri assoluti, dato comunque in crescita rispetto al 2019.

L’istruzione, sottolinea Caritas, continua ad essere tra i fattori che più tutelano e influiscono sullo stato di deprivazione (oggi più del passato). Dal pre-pandemia al 2020 si aggravano le condizioni delle famiglie la cui persona di riferimento ha conseguito al massimo la licenza elementare (o nessun titolo), passando da 10,5% a 11,1% e peggiorano visibilmente anche le condizioni di coloro che possiedono un diploma di scuola media inferiore, dal’8,6% al 10,9%. Nei nuclei dove il capofamiglia ha almeno un titolo di studio di scuola superiore si registrano valori di incidenza molto più contenuti (4,4%). “Un ultimo aspetto importante da richiamare è il dato sulla cittadinanza, che denota forti disuguaglianze tra italiani e stranieri residenti, acuite negli ultimi dodici mesi. La povertà assoluta si mantiene infatti al di sotto della media per le famiglie di soli italiani (6%) seppur in crescita rispetto al 2019 (4,9%), mentre sale al 22,2% per le famiglie miste e al 26,7% per le famiglie di soli stranieri”, spiega ancora la Caritas. Gli individui stranieri in povertà assoluta sono 1 milione e 500mila, con una incidenza pari al 29,3%, contro il 7,5% dei cittadini italiani, per un totale di 568mila famiglie povere.

L’ISTRUZIONE – Infine il rapporto prende le misure anche all’impatto della pandemia sul fronte educativo. “Le conseguenze sono state assai gravi, collegate per lo più alla chiusura delle scuole per due anni scolastici consecutivi (2019-20 e 2020-21). La capacità di dare risposta alla sospensione della didattica scolastica ha un evidente legame con la diseguaglianza – commenta il Rapporto di fatto i paesi a reddito medio-alto ed alto vedono una percentuale di studenti interessati dall’interruzione dei processi educativi assai minore di quella relativa ai Paesi a reddito basso e medio-basso. Un fattore di forte disparità è dato, chiaramente, dal possibile accesso alle piattaforme informatiche per la didattica a distanza”.

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