Quando in democrazia per avere diritto di parola è necessario precisare che si è d’accordo con le opinioni dominanti, c’è sempre da essere preoccupati. La pressione mediatica, politica e sociale contro chi avanza critiche nei confronti dell’ennesima estensione dell’obbligo del green pass è talmente forte da disincentivare solo il pensiero che sia lecito ancora porre qualche domanda.
Eppure interrogativi rispetto alla gestione attuale della pandemia se ne dovrebbero avanzare molti. L’Italia è una delle nazioni al mondo che registra ad oggi il più alto tasso di adesione alla campagna vaccinale. Nel nostro paese il 76,1% della popolazione ha assunto almeno una dose di vaccino e il 70% due [I DATI]. I decessi sono stati 130.000 con 4.698.038 di casi di contagio e, dopo la prima introduzione dell’obbligo del green pass nelle scuole e nelle strutture sanitarie dal primo settembre, si sono registrati in media ancora 38 morti al giorno nell’ultima settimana.
In Spagna si contano 4.977.448 casi di Covid e dall’inizio della pandemia si sono registrati 86.869 decessi con una media di 27 nell’ultima settimana. Il tasso di piena immunizzazione è attualmente pari all’81% della popolazione e non vige l’obbligo di certificazione verde. A ridurre la diffusione del contagio non è stato tuttavia questo alto tasso di immunizzati perché la discesa della curva dei contagi inizia già a fine di luglio quando erano vaccinati solo il 68,1% della popolazione, ovvero il 12% in meno di quanto si registra attualmente in Italia.
La differenza in termini di popolazione tra Spagna e Italia è di una decina di milioni di abitanti (46 contro 59) il che, fatte le debite proporzioni, porta a dire che la diffusione dell’epidemia e i risultati ottenuti con le diverse politiche di contrasto nei due paesi è simile in termini sia di contagi che di decessi. La differenza in presenza di performance analoghe di contenimento della pandemia è che, mentre il governo iberico non ha introdotto obblighi di certificati verdi, quello guidato da Mario Draghi è andato giù con la mano molto più pesante, tanto da portare gli osservatori a individuare nell’Italia il paese che ha messo in atto le misure più dure al mondo per limitare la diffusione del virus.
Non è chiaro cosa abbia mosso gli intenti di questa furia iconoclasta, se in altri paesi con peculiarità di cultura, struttura della popolazione e sistema sanitario i risultati di contenimento del virus sono stati raggiunti senza dovere ricorrere all’obbligo della certificazione verde. Forse a spronare le politiche di estremo rigore è stato il richiamo delle autorità morali del paese a fare qualcosa per la generazione degli anziani drammaticamente colpita dal virus. Bisognerebbe prendere seriamente questa ammonizione, in effetti, e andare a vedere quanti dei 110 mila morti over 70 e dei 70mila over 80 sono deceduti per inettitudine, incuria e malversazione. Perché il problema della strage di anziani c’è stato e il rischio di colpire una parte di popolazione sempre più ampia e fragile senza misure strutturali di prevenzione continuerà a persistere anche nel futuro, Covid o non Covid.
Ma, durante la pandemia, migliaia sono stati i decessi di persone infettate nelle Rsa perché dagli ospedali venivano spediti nelle strutture malati non immunizzati e contagiosi, e capire quanti di questi siano morti a causa del virus oppure di colpe umane è importante per migliorare l’offerta assistenziale esistente e per non fare finta che sia stato solo il virus il motivo della morte di tante persone.
Forse il desiderio di mostrare inflessibilità e rigore nei confronti del virus da parte del governo dei migliori, è dovuto anche al numero più alto di decessi registrato in Italia rispetto a tutti gli altri paesi europei: 130.000 contro il 117.000 della Francia e i 94.000 della Germania [I DATI]. Non un bel record e magari anche qui scatta un po’ di senso di colpa rispetto alla decisione di prorogare la chiusura i primi epicentri di contagio in Lombardia sotto la spinta di Confindustria e con la compiacenza dei vari sindaci locali di centrosinistra e destra, di non avere aggiornato il piano nazionale antipandemico, o di avere disinvestito per anni nella sanità pubblica.
Anche le molteplici implicazioni giudiziarie che hanno caratterizzato la gestione della pandemia devono pesare probabilmente un po’ sulla coscienza di molte autorità deputate al governo della nazione. Non è bello in effetti che Attilio Fontana sia ancora governatore della Lombardia dopo essere stato coinvolto, pur se sicuramente a sua insaputa, nello scandalo delle commesse di dispositivi di prevenzione a moglie e cognato. E pure la corsa di mediatori di ogni sorta per vendere dispositivi di protezione alle protezioni civili regionali e nazionali con il beneplacito di politici e ex politici di fama nazionale non è stato un bello spettacolo e serve indubbiamente un recupero di contegno istituzionale per mostrare che del ceto dirigente italiano, nonostante tutto, ci si può ancora fidare.
Poi sicuramente a favore dell’estensione più radicale del mondo del green pass avrà sortito un effetto anche l’opinione delle virostar che, mosse dall’intento di salvare la popolazione, tra un red carpet veneziano e un concorso truccato in Università sono arrivate in questi giorni a consigliare di tenere anche per i prossimi anni una mascherina a portata di mano per frequentare luoghi affollati, non sia mai che possa passare qualche raffreddore e il sistema immunitario delle persone si rinforzi.
Eppure, rimane il dubbio che l’idea definita ‘geniale’ dall’ottimo ministro Renato Brunetta di estendere ancora di più l’obbligo del green pass, nonostante l’elevatissima copertura vaccinale raggiunta e il persistere di un livello endemico di diffusione del virus, rischi di produrre qualche effetto collaterale e che di questi effetti non ci sia la piena consapevolezza da parte dei cittadini. Perché se non si possono avanzare dubbi nel dibattito pubblico rispetto a una misura, forse utile ma certamente discutibile, senza venire tacciati di italico menefreghismo o ignoranza, qualcosa, bisogna ammetterlo, sta andando molto storto.
Gli argomenti per criticare l’estensione dell’obbligo del certificato verde possono essere considerati forti o deboli, ma uno spazio di discussione pubblica argomentato deve essere garantito. Non è possibile che non si possa mettere in dubbio più niente delle politiche governative di contrasto al Covid senza essere classificati come no vax, irresponsabili o imbelli. Solo avere costruito queste categorie è indice che qualcosa di terribile è stato fatto, in parte intenzionalmente e in parte per superficialità, conformismo e inettitudine, ma con il risultato di azzerare il principio stesso della dialettica che è fondante di ogni sistema realmente democratico.
Non solo bisogna riappropriarsi del diritto di dire che si può discutere e criticare il modo con cui da venti mesi gli italiani sono trattati, ma è anche necessario ribadire che il problema della crisi della democrazia finisce sempre per alimentare i sentimenti peggiori delle persone: la paura, il rifiuto del confronto, la perdita di capacità argomentative, l’eclissi del pensiero critico, la sudditanza nei confronti di chi come sempre detiene il potere dell’informazione e della persuasione. Oggi la posta in gioco non è solo chi si imporrà tra sostenitori del sì green pass o del no green pass. È l’idea che la politica così come la scienza sono democratiche e chi dice il contrario serve fini che non vanno in direzione del fare crescere una democrazia.