La denuncia lanciata dal nuovo rapporto di Oxfam e Openpolis: il nostro Paese buca l’obiettivo di stanziare lo 0,3% del proprio reddito nazionale in Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps). Intanto centinaia di milioni dei contribuenti sono usati per missioni e blocco dei flussi migratori, sostenendo anche ‘soggetti’ più volte accusati di violazione dei diritti umani (come la cosiddetta Guardia Costiera libica) e senza che nulla cambi
L’Italia buca l’obiettivo di stanziare lo 0,3% del proprio reddito nazionale in Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) per 1,34 miliardi, fermandosi ad appena lo 0,22%. Decima in termini assoluti tra i Paesi Ocse per i fondi destinati alla cooperazione, in rapporto alla ricchezza nazionale, invece, l’Italia stanzia meno dell’Ungheria di Viktor Orbán. E mentre l’impegno per i paesi poveri è tornato ai livelli del 2015, centinaia di milioni dei contribuenti sono usati unicamente per missioni internazionali e per il blocco dei flussi migratori, tramite l’esternalizzazione del controllo delle frontiere delegata a paesi terzi, in linea con la politica adottata dall’Unione europea. Così si sostengono anche ‘soggetti’ più volte accusati di violazione dei diritti umani, come la cosiddetta Guardia Costiera libica e non si impedisce che lungo la rotta del Mediterraneo centrale i naufragi si susseguano senza che nulla cambi: solo dall’inizio dell’anno sono morte oltre 1.170 persone. È la denuncia lanciata da Oxfam e Openpolis, con un nuovo rapporto che fotografa le principali contraddizioni tra la politica estera e di difesa italiana e gli interventi di cooperazione e di aiuto allo sviluppo. Un dossier diffuso alla vigilia della nuova Legge di Bilancio, con un appello urgente per un deciso cambio di rotta “sia nell’aumento dei fondi destinati alla cooperazione, che nella definizione degli impegni internazionali italiani per il prossimo triennio”.
GLI OBIETTIVI OCSE E ITALIANI – Il comitato Dac, organo dell’Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) composto da 29 paesi più l’Unione europea, ha fissato l’obiettivo di raggiungere una soglia del rapporto tra l’Aps e il reddito nazionale lordo pari allo 0,7% entro il 2030. Ad oggi ci sono riusciti solo 6 Paesi: Lussemburgo, Norvegia, Svezia lo superano, Germania, Danimarca e Regno Unito lo raggiungono. Il valore complessivo dell’Aps dei paesi Dac è cresciuto del 3,5% tra il 2019 e il 2020, ma resta notevole la distanza tra l’obiettivo e i risultati ottenuti (0,32%). Gli Stati Uniti sono da sempre il primo contributore in termini assoluti con 35,5 miliardi di dollari. L’Italia è il decimo con 4,2 miliardi di dollari (la Francia ne ha investiti 14,1, il Regno Unito 18,6 e la Germania 28,4). E se confrontiamo gli importi con la ricchezza nazionale, la classifica cambia radicalmente. Gli Usa scendono al 23esimo posto e il nostro Paese con il suo 0,22% passa al 20esimo posto, sotto Spagna, Nuova Zelanda e Ungheria. L’Italia, inoltre, si era posta il traguardo intermedio di destinare almeno lo 0,3% del Rnl per l’aiuto pubblico allo sviluppo entro il 2020. Come spiega il rapporto “negli ultimi anni il raggiungimento di questo traguardo era diventato via via sempre meno realistico”, ma è solo “con i dati preliminari Ocse sull’aiuto pubblico allo sviluppo nel 2020 (l’Italia è allo 0,20%) che può esserne definitivamente certificato il fallimento”.
LE PROMESSE NEL TEMPO – Questo impegno venne assunto per la prima volta dal governo Renzi, nell’ambito della conferenza Onu sulle risorse per lo sviluppo tenutasi ad Addis Abeba nel 2015. Mario Giro, viceministro con delega alla cooperazione del governo Gentiloni, lo riaffermò nel 2017 in un momento in cui, in effetti, il traguardo sembrava a portata di mano. Nel 2019, Emanuela Del Re, viceministra della cooperazione del primo governo Conte, confermò l’obiettivo ribadendo le parole pronunciate da Luigi di Maio. Solo che qualcosa era già cambiato: nel 2018, infatti, gli stanziamenti per la cooperazione erano notevolmente calati e la legge di Bilancio mostrava previsioni in calo. Il secondo governo Conte, infine, ha avuto a disposizione solo pochi mesi prima che la pandemia cambiasse priorità. La cooperazione non è stata posta al centro dell’agenda dell’Esecutivo né con la legge di Bilancio per il 2020 (approvata prima dell’arrivo in Italia del coronavirus) né con quella per il 2021. Ma il ministro degli Esteri Di Maio ha anche dovuto difendere “i pochi stanziamenti previsti per il 2021 dall’attacco dell’opposizione”, come la richiesta di Fratelli d’Italia di azzerare del tutto i fondi destinati alla cooperazione. Anche in recenti dichiarazioni, Di Maio si è impegnato a “un aumento del 30% delle risorse Aps per il prossimo anno e del 50% nei prossimi anni, così da riportarci alla media dei paesi europei”, ricorda Francesco Petrelli, policy advisor per finanza per lo sviluppo di Oxfam Italia. Ciò consentirebbe di recuperare, anche se in ritardo (nel 2022) l’obiettivo dello 0,30% di Aps/Rnl. “La Legge di Bilancio che comincia il suo iter – aggiunge – ci darà la prima risposta a breve”.
COM’È CAMBIATO L’AIUTO PUBBLICO ALLO SVILUPPO – Come più volte segnalato, a partire dal 2017 i fondi destinati dall’Italia alla cooperazione allo sviluppo sono calati in maniera continuativa, soprattutto in conseguenza della riduzione della componente ‘spesa per i rifugiati nel paese donatore’ dovuta al minor afflusso di richiedenti asilo e rifugiati nel nostro Paese. Si tratta della componente principale di quello che Concord (la confederazione delle Ong europee) definisce aiuto gonfiato, ovvero le risorse della cooperazione che non sono destinate a finanziare progetti per lo sviluppo nei paesi più svantaggiati. Nel 2017 rappresentavano una quota del 30,7% dell’Aps, nel 2020 il 5,47%. Ma restano alcuni problemi sul fronte della trasparenza. L’Ocse prevede specifici criteri di rendicontazione “puntualmente ignorati dal ministero dell’Interno” per quanto riguarda la voce di spesa ‘rifugiati nel paese donatore’. L’effetto è una variazione percentuale dell’87,3% tra gli importi previsti dal ministero dell’Interno per questa voce nel 2020 e quelli effettivamente rendicontati da Ocse.
IL NODO DELLE MISSIONI – E poi c’è il problema legato alle missioni internazionali. Quelle italiane nel 2021 sono costate 1,64 miliardi di euro. Le maggiori criticità a livello politico sono state sollevate per la proroga del sostegno italiano alla cosiddetta Guardia Costiera libica. Più volte accusata di complicità con i trafficanti di esseri umani, nel 2021 ha ricevuto 10,48 milioni di euro dall’Italia (2,2 a valere sul ministero degli Esteri e 8,3 a valere sul ministero dell’Economia e delle finanze), con un aumento di mezzo milione rispetto al 2020. “Guardia Costiera libica che mentre continua far morire migranti lungo la rotta del Mediterraneo centrale – racconta l’Oxfam – quest’anno ha già riportato indietro verso i lager libici oltre 26mila disperati, a fronte dei poco più degli 11mila dell’anno scorso”. A questa ‘missione’, si aggiunge il finanziamento di ‘Mare sicuro’ per cui sono stati stanziati 96 milioni nel 2021 (+17 milioni rispetto al 2020), ‘Irini’ che pesa per oltre 39,7 milioni (+15 milioni rispetto al 2020), il sostegno bilaterale alle autorità libiche per 46,8 milioni e Sea Guardian per 14 milioni. Il totale a carico dei contribuenti deciso dal Governo per le missioni navali nel Mediterraneo (nessuna delle quali ha compiti di ricerca e soccorso in mare) e nel paese nord africano, è quindi per il solo 2021 di oltre 206 milioni di euro.
L’APPELLO – “Ogni anno – spiega Petrelli – le missioni approvate dal Governo intorno a maggio-giugno o addirittura a luglio come accaduto nel 2021, arrivano alla discussione del Parlamento, che si può esprimere solo attraverso risoluzioni, quando buona parte dei fondi sono già stati erogati”. Per questo si chiede che per il 2022 venga prevista dal governo Draghi “una presentazione anticipata delle singole missioni, entro il primo mese del nuovo anno, così da permettere un vero dibattito pubblico e parlamentare che ne consenta la revisione o come nel caso del sostegno alla Guardia Costiera libica, la possibilità di revoca”. In seguito agli sviluppi della situazione in Afghanistan e al ritiro delle truppe Nato, tra cui quelle italiane, il governo ha stabilito una modifica della deliberazione missioni: verranno riallocati i 120 milioni di euro previsti per la prosecuzione del contributo a sostegno delle forze di sicurezza afghane. “È fondamentale che anche l’Italia faccia la sua parte – conclude Petrelli – destinando queste risorse all’accoglienza dei rifugiati afghani e a garantire la partecipazione italiana all’attuazione di iniziative dell’Ue e internazionali di risposta umanitaria alla situazione nel paese”.