“Non sappiamo più dove metterle. Solo dall’inizio dell’anno scolastico abbiamo oltre 50mila mascherine di Stato accumulate negli scantinati, nei magazzini, in ogni angolo. Finalmente non me ne manderanno più, ma ora scriverò una mail ogni giorno a Figliuolo perché venga a ritirare i pacchi che abbiamo qui dall’anno scorso”.
A parlare è Amanda Ferrario, dirigente scolastica di uno degli istituti considerato tra i più innovativi in Italia: il Tosi di Busto Arsizio, 2500 alunni. La preside non è certo una sconosciuta al ministero dell’Istruzione: tra il 2018 e il 2019 ha lavorato a stretto contatto con il Gabinetto del ministro Marco Bussetti e nel 2020 è stata membro del gruppo di lavoro istituito da Lucia Azzolina, per l’innovazione metodologica e la formazione dei docenti.
Eppure nemmeno lei è riuscita a frenare l’ondata di mascherine che dallo scorso anno hanno invaso le scuole di ogni ordine e grado: al Tosi ne arrivano diecimila a settimana. Il problema è che nessuno le usa: “Inizialmente hanno inviato quelle chirurgiche che venivano indossate dai ragazzi – spiega la preside – ma ad un certo punto, lo scorso anno, sono stati distribuiti dei dispositivi scomodi, per nulla performanti, con elastici che si rompono facilmente. I ragazzi non le hanno più volute. Noi le distribuivamo ma restavano sui tavoli”.
Stiamo parlando di quelle mascherine definite dagli studenti “pannolini” o “mutanda”: un appalto di undici milioni di dispositivi firmato dal commissario per l’emergenza straordinaria Domenico Arcuri. Arrivato il generale Francesco Figliuolo a marzo dello scorso anno, nulla è cambiato. Il contratto in essere non si è potuto stracciare. Risultato? Nelle scuole di tutt’Italia sono continuate ad arrivare quelle mascherine che sono rimaste negli atrii, nei corridoi, negli scantinati.
“Io stessa le ho provate. Sono decisamente fastidiose. Anche quelle con l’elastico che si può mettere dietro la nuca sono pessime e si rompono subito. Come pubblico ufficiale – dice la preside – continuo a distribuirle ma i ragazzi non le vogliono e li capisco”. A luglio, Amanda Ferrario, prende carta, penna e scrive una mail alla struttura commissariale ma non riceve alcuna risposta.
Nei giorni scorsi, stanca di vedere scatoloni e scatoloni ammassati riprova a “parlare” con il commissario, stavolta con la pec: “Quotidianamente da oltre un anno riceviamo mascherine inadatte all’uso, strette, fatte con materiali scadenti, con lacci dietro la testa che nessuno vuole indossare. Lo spreco di denaro pubblico e lo spazio destinato agli imballaggi mi spingono a chiedervi, nell’ordine: di sospendere l’invio di mascherine scadenti e inutilizzate e di provvedere al ritiro dei bancali interi di mascherine consegnate perché ingombrano ogni spazio disponibile e sono di intralcio alle normali attività didattiche nonché pericolose per la sicurezza degli ambienti”.
Tempo due giorni e la struttura commissariale risponde annunciando l’accoglimento della richiesta: la distribuzione sarà sospesa. “Peccato – spiega a ilfattoquotidiano.it la dirigente del Tosi – che non mi abbiano detto se verranno a ritirarle. A questo punto scriverò ogni giorno una pec al commissario. Come pubblico ufficiale non me la sento, dal punto di vista etico, di buttare dei soldi pubblici ma non posso nemmeno tenere nella scuola tutti questi scatoloni. Se li riprendano e decidano loro cosa farsene”.
Ad oggi tutte le scuole sono nella situazione dell’istituto di Busto, ma manca una ricognizione da parte del commissario: “Non è stata fatta e si continuano a buttare soldi e a danneggiare l’ambiente. Forse – spiega Ferrario – sarebbe stato meglio dare un contributo alle famiglie affinché acquistassero loro i dispositivi. A questo punto, si fermi questo spreco di denaro e lo si usi magari per quei bambini che nemmeno hanno i soldi per venire in mensa o acquistare i libri alla secondaria”.