“Non vorrei essere scortese, ma quando Lo Russo sarà sindaco deciderà lui chi mettere in giunta. Per il momento il sindaco sono io”. Era il febbraio del 2009 e Sergio Chiamparino rispediva così al mittente i consigli non richiesti a un giovane consigliere comunale. Si chiamava Stefano Lo Russo: dopo undici anni è effettivamente diventato sindaco di Torino. Dopo la profezia di Piero Fassino, dunque, si realizza anche quella del suo predecessore: il candidato del Partito democratico ha sconfitto al ballottaggio, col 59,3 per cento dei voti, il rivale Paolo Damilano, imprenditore e candidato civico del centrodestra. La città, dunque, torna al centrosinistra dopo una parentesi di cinque anni col M5s.
Lo Russo ha vinto con 169mila voti: gli stessi che cinque anni fa non bastarono a Fassino per confermarsi sindaco, visto che Chiara Appendino riuscì a prenderne 202mila. Oggi, effetto dell’aumentato astensionismo, questi numeri sono più che sufficienti anche perché Damilano ha addirittura perso quasi ottomila voti rispetto al primo turno, passando da 124mila a 116mila preferenze. A Lo Russo è arrivato il sostegno dello storico Angelo D’Orsi, che al primo turno aveva preso il 2,5% con la sinistra, e di alcuni esponenti del M5s seppur senza alcun accordo formale. “Erano tanti anni che il centrosinistra non era così unito”, è stata una delle primissime dichiarazioni di Lo Russo. Nel complesso, solo un quarto dei cittadini ha votato per lui: “Il primo pensiero va ai tanti torinesi che non credono più alla politica; a loro voglio dire che farò di tutto per farli ricredere”, è il suo messaggio ai cittadini.
Nato a Torino 45 anni fa, il neo primo cittadino è professore ordinario di Geologia al Politecnico di Torino, ateneo per il quale è inoltre referente dei rapporti con la Federazione russa. “Stefano è un secchione, sì, ma generoso, di quelli che passano il compito”, lo ha descritto Chiamparino. Appellativo, quello di secchione, che Fassino rivolse a sua volta ad Appendino: “Non sono una secchiona cattiva, ho sempre passato i compiti a chi era in difficoltà”, rispondeva lei. È uno dei pochi elementi che accomuna l’ex sindaca con l’attuale primo cittadino, che ha alle spalle una lunga esperienza in consiglio comunale. E l’ha anche fatto notare nei confronti elettorali con Damilano, talvolta correggendo alcune gaffe dell’avversario, come quando l’imprenditore disse di voler quotare in borsa la multiutility Iren, in realtà già quotata da anni. Lo Russo, d’altronde, può essere ormai ritenuto un veterano della Sala Rossa, l’aula del consiglio comunale torinese: è entrato per la prima volta nell’assemblea cittadina all’età di 30 anni con le amministrative del 2006, quelle della rielezione di Chiamparino. Iscritto al gruppo dell’Ulivo, era uno dei rappresentanti della Margherita, l’ala cattolica, spesso in contrasto con l’ala sinistra. Non è un caso che il suo primo pensiero dopo la vittoria sia andato a un prete molto noto in città, don Aldo Rabino, salesiano e cappellano del Torino Calcio scomparso nel 2015.
Nel 2011, anno dell’elezione di Fassino, Lo Russo viene confermato in consiglio comunale, che – dopo un’esperienza da coordinatore della segreteria regionale del Pd – assume il ruolo di capogruppo dem. Sono anche gli anni in cui il centrosinistra torinese è diviso al suo interno sulla questione Tav: Lo Russo si è sempre fatto segnalare come un sostenitore della Torino-Lione. Nel luglio 2013 arriva una promozione: Fassino lo vuole nella giunta e gli affida l’assessorato all’Urbanistica. Alle elezioni del 2016 risulta il più votato tra i candidati consiglieri con 2.541 voti. Torna a essere capogruppo del Pd, questa volta, però, ai banchi della minoranza. Da lì contesta con durezza Appendino, il suo staff (Paolo Giordana e Luca Pasquaretta) e i suoi assessori, tra cui figura un altro professore del Politecnico, Guido Montanari, titolare delle deleghe all’urbanistica.
L’opposizione di Lo Russo è senza esclusione di colpi: nel 2017 presenta un esposto alla procura relativo ai bilanci cittadini, in una vicenda che riguarda un progetto immobiliare che, come ex assessore all’urbanistica, conosceva direttamente. Da lì è arrivata la condanna all’ex sindaca a sei mesi in primo grado per falso in atto pubblico, la conseguente autosospensione dai 5 stelle e la mancata ricandidatura. Ecco perché tra Lo Russo e Appendino non è mai corso buon sangue: molti sostenitori del M5s, infatti, hanno fatto sapere sui social che al ballottaggio il loro voto non sarebbe mai andato al candidato Pd. Durante la campagna elettoralele due parti non sono mai giunte a un accordo nonostante le spinte di una parte del Pd a livello nazionale. Anzi alcuni sostenitori di Lo Russo, come i Moderati, spingevano per l’obiettivo opposto: nessun accordo coi grillini. E dall’altra parte né Appendino e neanche Giuseppe Conte hanno mai voluto dare indicazioni di voto per il ballottaggio.