Cinema

Green Bank Pastoral, il docufilm sul rifugio degli “elettrosensibili”

Questa storia è già apparsa in forma di reportage su diverse testate statunitensi. La zona è diventata per alcune persone un luogo dove poter vivere

di Davide Turrini

Potevamo stupirvi con onde elettromagnetiche… ma a Green Bank -West Virginia – in un’area di 13mila miglia quadrate non esiste per legge alcun segnale radio o linea per i telefonini. Green Bank Pastoral, documentario diretto da Federico Urdaneta, nelle scorse ore in proiezione speciale al Film Festival dei Diritti Umani di Lugano, racconta proprio questa storia, già apparsa in forma di reportage su diverse testate statunitensi, aggiungendo, e facendolo diventare perno narrativo, il fatto che Green Bank sia diventata per molte persone affette dalla sedicente ipersensibilità elettromagnetica (un disturbo non riconosciuto dall’Oms e né dalla comunità scientifica) una sorta di luogo sacro dove poter vivere.

La cosiddetta National Quiet Zone dove vivono, tra gli altri, una solitaria signora Jennifer e la coppia di mezza età Sue e John. La prima fuggita da Boston qui trova pace a pieni nudi nel bosco dormendo, senza eccedere in cartolinesche rappresentazioni dell’hippie isolato dal mondo, tra il retro dell’automobile e un capanno in legno. Davanti ai suoi occhi invece di scorrere la frenesia di yesman con telefonino e auricolare propaggine del corpo ecco fare capolino cerbiatti e caprioli. Sue e John, invece, sembrano usciti dall’iconografia classica della copertina italiana di Antologia di Spoon River. Anche per loro vita in tenda e in automobile, in attesa che finiscano di costruire la propria casa prefabbricato con ulteriori pannelli isolanti (è Sue a essere sensibile e il marito la segue e la aiuta). Anche per loro la fuga è dalla città dove Sue viveva in una spaziale e angusta “silver room”. Censimento vuole che siano poco più di 150 gli abitanti di Green Bank e che a partire dal 2013 i nuovi arrivati tutti che si considerano “elettrosensibili” siano una trentina.

Urdaneta ne segue giusto una manciata e lascia che la composizione per immagini del suo documentario, sofisticata e naturalistica allo stesso tempo, si faccia impressionare da un contesto ambientale dove sullo sfondo, tra alberi e prati, troneggia spesso il telescopio più grande al mondo, pezzo pregiato dell’area che vieta fin dal 1958 con legge del governo federale le onde elettromagnetiche. Insomma, niente 5G, ma nemmeno 4G o 3G, e neppure uno straccio di wi-fi gratuito. I pochi telefoni funzionanti sono fissi, come fissi i pc che si collegano online pure con una certa fatica. Green Bank Pastoral, però, come dicevamo, non ha al centro la bizzarria del luogo, bensì questa defilata, ordinata e inquieta scelta di trasferimento per motivi di salute di alcune persone. Questa sensibilità non è una patologia riconosciuta tanto che le parole dei protagonisti intervistati e ripresi sembrano spesso sbucare da un altroquando alieno. Grazioso e altrettanto ricercato il commento sonoro che mescola celestiali melodie di Bach a impossibili segnali radio e onde elettromagnetiche gracchianti, come ad un terzetto con banjo appalachiano modello Tranquillo weekend di paura.

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