Doveva andare in carcere dopo che la Cassazione ha messo il bollo sulla condanna a sei anni e otto mesi per lo scandalo dei fondi europei per la fondazione professionale. Ma Francantonio Genovese si è visto rispondere che è “ancora presto”. È il paradosso in cui si trova lo storico ras delle preferenze di Messina, già sindaco della città sullo Stretto, primo segretario del Pd in Sicilia e deputato.

A raccontare la vicenda è l’agenzia Ansa: nei giorni scorsi la Suprema corte ha reso definitiva la sua condanna per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, associazione a delinquere, frode fiscale e tentata concussione, rinviando alla corte d’appello di Reggio Calabria perchè riprocessi l’ex parlamentare solo per l’accusa di riciclaggio da cui era stato assolto in secondo grado. La Cassazione ha accolto il ricorso della procura generale di Messina e ha, dunque, ripassato la palla ai colleghi reggini, ma la condanna a 6 anni e 8 mesi è passata in giudicato, quindi, teoricamente, Genovese dovrebbe essere in carcere per scontarla. Secondo la procura generale di Reggio Calabria, che dovrebbe occuparsi dell’esecuzione della pena, però, è ancora presto. Rifacendosi a una sentenza della Cassazione che parla di inscindibilità del giudicato l’ex deputato, per scontare la pena, dovrebbe attendere la definizione del secondo processo che dovrà celebrarsi prima in appello, poi certamente davanti ai giudici romani. Quindi per qualche tempo almeno, nonostante, la parte della condanna sia ormai stata suggellata dalla conferma dei magistrati romani l’ex deputato resterà libero.

La vicenda giudiziaria di Genovese era cominciata nel 2014, quando la procura di Messina aveva inoltrato una richiesta di arresto per il parlamentare dem, firmata da Sebastiano Ardita, all’epoca procuratore aggiunto, a capo dell’inchiesta sulla Formazione, e i sostituti Antonio Carchietti e Fabrizio Monaco. La Camera dei deputati votò a favore dell’autorizzazione a procedere e al termine della votazione Genovese prese un aereo per tornare in Sicilia e consegnarsi alla polizia. Il 15 maggio entrò così in carcere dove rimase pochi giorni, per poi tornarci dopo il ricorso della procura. Restò in carcere per 10 mesi, per poi passare ai domiciliari per altri 4. Tornato libero decise di cambiare partito: nel novembre del 2015 annunciò il suo passaggio in Forza Italia (poi abbandonata già nel luglio del 2019).

Nel frattempo ha candidato ed eletto all’Assemblea regionale sicilina il figlio Luigi, con ben 17463 preferenze. Voti che quasi pareggiavano i 19mila con cui il padre risultò nel 2012 il più votato d’Italia alle primarie del Pd e che furono essenziali nel 2017 per l’elezione dell’attuale presidente siciliano, Nello Musumeci. Un consenso quasi del tutto trasferito al figlio, senza intoppi, nonostante la condanna – a gennaio dello stesso anno – in primo grado a 11 anni, all’esito di un processo durato due anni e che aveva visto illustri testimoni quali l’ex ministro per la Coesione economica, Fabrizio Barca, l’ex governatore Rosario Crocetta e l’ex dirigente regionale Ludovico Albert, che lo accusava di tentata estorsione. Cib la sentenza di primo grado, il 20 settembre del 2019 la Corte D’Appello ha alleggerito la condanna a 6 anni e otto mesi, assolvendo l’ex sindaco di Messina dalle accuse di riciclaggio e autoriciclaggio, mentre sono risultati prescritti alcuni capi d’imputazione per reati fiscali e truffa. Quindi l’11 ottobre scorso la Cassazione ha confermato la sentenza – cinque anni per tentata estorsione, un anno per associazione a delinquere e 6 mesi per due reati tributari – e accolto il ricorso della procura generale di Messina, guidata da Vincenzo Barbaro, per l’assoluzione dall’accusa di riciclaggio. Un passaggio che consentirà a Genovese di rimanere libero ancora per qualche anno.
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