Roberto Gualtieri, candidato del Pd e del centrosinistra, sarà il prossimo Sindaco di Roma. Possiamo tirare un sospiro di sollievo per la sconfitta del centrodestra e in particolare del suo improbabile candidato sindaco – che ancora ci stiamo chiedendo cosa abbia trovato in lui la Meloni per imporlo con un lungo braccio di ferro a Salvini che voleva la magistrata Matone (a proposito, in campagna elettorale non si è più vista).
Un candidato dalle posizioni politiche piuttosto pesanti, se si va a vedere cosa diceva un anno fa a Radioradio su ebrei e antirazzisti, per non parlare di alcuni candidati delle sue liste con fasci littori tatuati sul petto e dei suoi goffi tentativi di eludere domande sul fascismo, buttandola sul comunismo: “Io ricordo che quando entrarono i carrarmati a Budapest, il Pci stava dalla parte degli oppressori e io, che facevo parte della Dc, stavo dalla parte degli oppressi”: peccato che i fatti di Ungheria fossero del 1956 e lui sia nato nel 1966. Un “Soro Lello” che non era proprio l’ideale per rappresentare la capitale d’Italia nei consessi internazionali.
Resta il punto interrogativo su come sarà Roberto Gualtieri come sindaco. La sua cornucopia elettorale era piena di idee e di buone intenzioni, ma bisogna vedere se nella sua consiliatura intende davvero voltare pagina, non tanto con il quinquennio pentastellato, quanto con quel “modello Pd” che ha governato per vari lustri, che non se l’è passata tanto male nel periodo alemanniano e che ha espulso come un corpo estraneo il sindaco Ignazio Marino e la sua giunta.
Un modello che è stato bocciato almeno due volte alle urne: nel 2008, con la vittoria di Alemanno, e nel 2016 con l’affermazione bulgara di Virginia Raggi (non fa molto testo l’intermezzo del “marziano” Ignazio Marino, il cui slogan era “Non è politica è Roma”). E va ricordato che la facilità con cui i pentastellati hanno espugnato il Campidoglio nel 2016 non si può imputare a un destino cinico e baro, ma a un malessere montante di estesi territori della città abbandonati da tempo dal centro sinistra, malessere che ha trovato nel M5S il canale più adatto per uscire allo scoperto. Quella vittoria ha segnato il fallimento di un’intera classe politica che non ha mai voluto fare i conti con se stessa, cambiare protagonisti, cambiare interlocutori, cambiare obiettivi e modalità di confronto con i cittadini.
L’astensione da record ci dice che quel malessere è ancora lì, che c’è un gran lavoro da fare, a cominciare dal cambiare radicalmente le politiche e le priorità del passato, anche e soprattutto quelle del fu “Modello Roma”.
Se il sindaco Gualtieri e la sua maggioranza intendono cambiare sul serio lo sapremo molto presto. Intanto lo vedremo dalla squadra che sceglierà, per lo staff e soprattutto per la giunta. Il metodo che fino a qualche tempo fa andava per la maggiore era scegliere gli assessori non tanto (o non solo) per le competenze e l’esperienza, quanto per il “peso politico” che rappresentavano. Per cui si poteva nominare assessore alla mobilità uno che non sapeva niente di mobilità, o spostare un assessore dai lavori pubblici allo sport, per mantenere in piedi equilibri politici o per dare a ciascun partito/componente/corrente della coalizione un ruolo proporzionato ai voti che aveva portato.
Anche le prime iniziative che Gualtieri metterà in cantiere saranno un buon indicatore del nuovo capitolo che intende aprire per la capitale, ben più di un programma molto ampio, spesso generico e con pochi riferimenti a strumenti e cronoprogramma. Soprattutto si capirà la sua direzione in base a come affronterà questioni annose e spinose, che richiedono scelte che inevitabilmente premiano qualcuno e scontentano qualcun altro. Dalla sua parte ha un “governo amico” nella Regione Lazio, con cui non dovrebbero più esserci scaricabarili di competenze e responsabilità.
Un punto su cui da tempo lavora Carteinregola – la riorganizzazione della governance tra Regione, Città metropolitana, Comune e Municipi – tanto esaltato nella campagna elettorale potrebbe essere la prima vera rivoluzione, che nessuno dei suoi predecessori ha avuto il coraggio di avviare, portando agli enti di prossimità le competenze dei servizi più vicini al cittadino e alla pianificazione della “Grande Roma” quei processi che superano i confini comunali.
Poi vedremo come se la caverà con i grandi temi che vanno a toccare nervi da sempre scoperti, in primis l’urbanistica: la “rigenerazione urbana” – se quella vera che mette mano alle periferie o quella dei costruttori che abbatte villini storici per ricostruirli gonfi di nuove cubature; l’urbanistica contrattata – opere pubbliche finanziate dal privato che spesso non convengono al pubblico e convengono molto al privato; il nuovo Stadio della Roma, già diventato due stadi (pure della Lazio), se davvero intende “uno stadio che sia uno stadio e non un’occasione di fare altro tipo di investimenti”. E poi il sociale, le disuguaglianze, come gestirà l’emergenza abitativa che non è un’emergenza visto che dura e si aggrava da decenni senza che vengano prese decisioni coraggiose e risolutive, mettendo fine alla vergogna dei residence pagati dal Comune a caro prezzo e che in molti casi non sono neppure adatti ad abitazioni.
E l’elenco è lungo: noi di Carteinregola i temi più “scomodi” abbiamo provato a condensarli in nove domande che abbiamo inviato qualche settimana fa ai due candidati, senza peraltro avere risposta: l’acqua del Tevere che Acea vorrebbe far bere ai romani, il Piano Parcheggi pieno di progetti di parcheggi privati “congelato” dall’imbelle (in questo caso) amministrazione Raggi; i Punti Verde Qualità, una spada di Damocle sulle finanze cittadine. E su tutto la trasparenza, soprattutto la trasparenza delle decisioni, prima che diventino irreversibili.
Noi di Carteinregola da oggi riprendiamo il nostro lavoro di “cane da guardia” dei cittadini, monitorando e, se necessario, criticando le scelte del nuovo sindaco e della sua maggioranza, pronti a chiedere conto delle promesse dei dibattiti e dei programmi elettorali. Ma anche a interloquire e proporre. Augurando buon lavoro al nuovo sindaco, con un po’ di speranza e di ottimismo.