L'appello di ReCommon e Oil Change International arriva in occasione del summit 'Finance in Common'. Solo lo scorso anno l'agenzia ha effettuato operazioni per 46 miliardi in favore delle aziende del settore, più dell’ultima manovra di bilancio (40 miliardi). Il sostegno di Sace, commenta Simone Ogno, “è andato il più delle volte ai soliti noti, i colossi italiani dell’industria fossile italiana. Ora il governo le ha affidato le chiavi per il Green Deal italiano, un paradosso sconcertante"
In occasione del summit Finance in Common ospitato da Cassa Depositi e Prestiti, ReCommon e Oil Change International chiedono a Mario Draghi un impegno personale affinché la Sace smetta di finanziare progetti a combustibili fossili. E lo fanno in una lettera, con il sostegno di 44 realtà della società civile italiana e internazionale. Ma proprio a giorni, l’Agenzia italiana per il credito all’esportazione, di cui il presidente del Consiglio è stato presidente negli Anni 90, dovrebbe rendere pubblica l’approvazione del sostegno (tramite credito all’esportazione) al progetto Arctic LNG-2 per l’estrazione di gas in una delle aree dall’ecosistema più fragile dell’intero Artico siberiano. Proprio mentre il governo francese vorrebbe prenderne le distanze. Nel 2016, Sace aveva già partecipato al progetto gemello, Yamal Lng, rilasciando una garanzia in favore dell’istituto di credito torinese Intesa Sanpaolo, finanziatrice dell’opera con 750 milioni di euro. “Per non parlare dell’approvazione delle garanzie per i progetti Coral South e Mozambique LNG e di quella ancora in sospeso per Rovuma LNG, megaprogetti di gas – commenta ReCommon – che stanno provocando impatti negativi sia per l’ambiente che per la popolazione del Mozambico”.
IL SOSTEGNO DI SACE AI COMBUSTIBILI FOSSILI – Sace è tra le agenzie pubbliche più attive nel finanziamento dei combustibili fossili e negli ultimi anni ha aumentato il suo sostegno a progetti e aziende del settore oil&gas. Lontano dai riflettori, in tre anni ha mobilitato risorse pari a 77 miliardi di euro e nel 2020 ha effettuato operazioni per 46 miliardi di euro, più dell’ultima manovra di bilancio (40 miliardi). Come ricordato dall’associazione nel report Stato di garanzia, il 61% del suo portafoglio privato è dominato da due soli settori: crocieristico (41%) e petrolifero (20%), dove è forte la presenza di aziende partecipate dallo Stato, come Eni e Fincantieri. “Da quando è stato firmato l’Accordo di Parigi sul clima – ricorda l’associazione – almeno il 20% del suo portafoglio è andato al comparto oil&gas per promuoverne l‘espansione a livello globale. In cinque anni ha garantito più di 18 miliardi di dollari per nuovi progetti di combustibili fossili”. Eppure, come ribadito nuovamente nei giorni scorsi dall’Agenzia Internazionale dell’Energia, non ci possono essere investimenti in nuove forniture di combustibili fossili per rispettare l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C.
IL PROGETTO NELL’ARTICO RUSSO – Già a maggio scorso, una quarantina di deputati del Parlamento europeo (tra cui i Verdi Eleonora Evi, Rosa D’Amato, Piernicola Pedicini e Ignazio Corrao) avevano scritto anche a Draghi per esprimere le proprie preoccupazioni riguardo al possibile sostegno al progetto ‘Arctic LNG 2’ da parte delle agenzie di credito all’esportazione di Francia, Germania e Italia. Sottolineando che il progetto di costruzione di un terminale di liquefazione di gas naturale liquefatto (Gnl) in Siberia “finanziato dal produttore di gas russo Novatek e dal colosso petrolifero francese Total, non è compatibile con l’accordo sul clima di Parigi, con il Green deal europeo o la Legge sul Clima”.
‘Arctic LNG 2’ punta a esportare il Gnl in Asia attraverso la rotta del Mare del Nord, approfittando del massiccio scioglimento dei ghiacci marini causato dal riscaldamento globale. Oggi, la maggior parte del traffico su questa rotta è già legata al Gnl. Lo stesso presidente Emmanuel Macron ha dichiarato: “L’utilizzo di questa rotta ci ucciderà”.
IL PARADOSSO – “Sace è sempre stato uno dei pilastri su cui poggia il Sistema-Italia e, in seguito alla pandemia, il suo ruolo è divenuto ancora più centrale, scegliendo quali imprese e settori supportare attraverso i suoi programmi”, commenta Simone Ogno di ReCommon, secondo cui questo supporto “è andato il più delle volte ai soliti noti, i colossi italiani dell’industria fossile italiana”. E ora “il governo le ha affidato le chiavi per il Green Deal italiano, un paradosso sconcertante”. Tutto questo mentre il governo del Regno Unito (che condivide la presidenza della Cop26 con l’Italia) ha invece annunciato la sua decisione di porre fine al sostegno pubblico internazionale ai combustibili fossili, compresi i finanziamenti alle esportazioni. Regno Unito e Banca europea per gli investimenti (Bei), inoltre, sono al lavoro con l’intento di lanciare una dichiarazione congiunta insieme ad altri governi e istituzioni finanziarie pubbliche per ottenere uno stop ai finanziamenti pubblici per i combustibili fossili alla Cop26. “Se il premier Draghi prende sul serio il limite di 1,5°C per il riscaldamento globale, deve porre immediatamente fine ai nuovi finanziamenti alle esportazioni e ad altre forme di finanziamento pubblico per i progetti legati ai combustibili fossili. La scienza è stata chiara sul fatto che non ci possono essere più investimenti in nuovi progetti fossili in uno scenario di 1,5°C. L’Italia dovrebbe unirsi al Regno Unito e alla Bei nell’impegno a porre fine ai finanziamenti pubblici per i combustibili fossili”, conclude Laurie Van der Burg di Oil Change International.