Squid Game, la serie tv campione di ascolti trasmessa da Netflix,“Ti cattura per l’atmosfera intensa delle scene”, ci racconta Lorenzo, 22enne musicista, “il ritmo narrativo, la serrata competizione tra i giocatori e per come viene rappresentata la loro paura. Per non parlare dei suggestivi colori delle scene, le maschere delle guardie che ti ricordano il controller della play”. Capita pure di sentire pareri opposti, come quelli che abbiamo raccolto in un liceo artistico, dove Gaia, 18 anni, liquida il fenomeno “Perché poco originale e troppo simile a un’altra serie, con un finale deludente rispetto alle tensioni e aspettative create dalla trama. Meglio – come ci diciamo nel nostro gruppo – guardare Alice in Borderland!”.
Ma Squid Game è diventato soprattutto un caso oggetto di polemiche e allarmi da parte delle istituzioni. La denuncia più recente arriva dall’Inghilterra, dalla contea di Bedfordshire. Il consiglio comunale, a partire dalle segnalazioni del team che si occupa dei programmi di tutela e salvaguardia dell’educazione, ha allertato le famiglie su una serie di casi che hanno coinvolto numerosi minorenni. In una mail rivolta a familiari e tutori legali, riporta il Guardian, hanno consigliato di “tenere gli occhi ben aperti e rimanere vigili”. La ragione? “Il numero crescente di report che registrano un sensibile aumento della percentuale di bambini e adolescenti invischiati in competizioni violente ispirate a Squid Game. Prodotto che, almeno da quanto indicato dal network, sarebbe destinato a un pubblico d’età superiore ai 15 anni”. Anche dal Belgio la cronaca riporta episodi di percosse tra bambini proprio dopo avere imitato un gioco della famosa serie tv.
È probabile che il problema centrale della visione di questa serie esploda abbassando l’età, dove si verificano più casi di emulazione? “In effetti i bambini imparano molto per imitazione e i personaggi che vincono, che hanno un potere sugli altri, attirano molto la loro attenzione, perché essi si percepiscono in una posizione di inferiorità rispetto agli adulti. Se poi i personaggi ‘forti’ vengono proposti in un videogioco dagli stessi adulti, si sentono incoraggiati a imitarne i comportamenti”, commenta la professoressa Anna Oliverio Ferraris, ordinario di Psicologia dello sviluppo dell’università La Sapienza di Roma.
Professoressa Ferraris, esistono però altre serie tv, anche più violente, perché Squid Game allarma di più?
“Probabilmente per l’ampia diffusione che sta avendo questa fiction e perché attira i bambini con giochi tipici dell’infanzia che tutti conoscono o hanno praticato, come ‘Uno, due, tre stella’…”.
I ragazzi che percezione hanno del rischio? Dietro i fenomeni di emulazioni temerarie ci può essere il bisogno di essere integrati nella cerchia degli amici dove si organizzano giochi del genere?
“Un teenager può essere imprudente perché sottovaluta il rischio, ma può anche esserlo perché sopravaluta la ricompensa che dal rischio può derivare, come mostrare il proprio coraggio, essere ammirato dagli amici, avere il loro consenso e il loro rispetto. Sentirsi apprezzati e parte del gruppo aumenta la loro autostima”.
Che emozioni suscita la visione di azioni violente?
“La violenza eccita, mette in circolazione adrenalina, suscita emozioni forti, questo è il motivo per cui la violenza può avere la meglio sulla paura e anche sul senso di pietà nei confronti delle vittime”.
Si parla ancora poco del fenomeno dei “neuroni specchio”, della caratteristica di alcune aree del nostro cervello che ci porta a immedesimarci in situazioni emotivamente forti, tendendo poi a replicare in noi le stesse emozioni.
“I neuroni specchio sono particolarmente attivi nell’infanzia, l’età in cui molti apprendimenti avvengono per imitazione ed emulazione. Continuano ad avere un ruolo anche in seguito (pensiamo ad apprendimenti motori come il ballo, le mimiche, la gestualità). Il loro ruolo però è meno determinante man mano che si sviluppano la razionalità e il senso critico”.
Squid Game è vietato ai minori di 14. È sufficiente per prevenire effetti negativi sulla psiche dei ragazzi?
“È un’indicazione di massima che non si addice a tutti, perché ci possono essere forti differenze individuali sia per quanto riguarda la sensibilità e la suggestionabilità sia per la capacità di distinguere la fiction dalla realtà, il vero dal verosimile”.
Esistono filtri per i bambini che Netflix mette a disposizione dei genitori per evitare la visione di programmi troppo violenti. Ma basta questo per dissuadere o evitare che i più piccoli guardino queste serie?
“Se alcuni accettano le regole dei genitori, ci sono altri che trovano il modo per eluderle. Soprattutto se quei programmi vengono guardati dagli amici e loro non vogliono sentirsi esclusi”.
C’è anche il rischio di enfatizzare troppo le critiche alla fiction, suscitando ancora più curiosità?
“Si, esiste questo rischio. Nel caso in cui un bambino o un ragazzo abbia visto scene o programmi violenti, non resta che affrontare l’argomento spiegando che viene fatto un uso smodato di scene violente per attrarre l’attenzione e vendere dei prodotti. Stesso discorso per il porno. Bisogna anche far notare le differenze tra fiction e realtà”.
A proposito di questa serie tv, lei ha dichiarato che un intervento del Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza non sarebbe fuori luogo. Si può pensare ad altri provvedimenti, senza suscitare accuse di censura?
“Non so se vietare un programma inzeppato di scene di violenza sia vera e propria censura, mi sembra piuttosto una misura contro l’istigazione alla violenza, considerata anche la tendenza che molti ragazzini hanno di imitare ciò che, rivolto a loro, viene mostrato sugli schermi come ‘divertimento’”.
Il mondo dell’usura e dell’indebitamento fa da sfondo alle vicende dei personaggi di Squid Game. Ci potrebbe essere anche un risvolto positivo in queste narrazioni che induca a riflettere sul problema della gestione dei soldi, dell’ingiustizia sociale, o tutto viene vanificato dal modo in cui viene raccontato?
“Non è detto che l’aspetto razionale ed esplicativo della narrazione riesca ad avere la meglio sulle emozioni suscitate dalle scene di violenza. Che sono spesso enfatizzate da primi piani aggressivi, zoomate, urla, lamenti, rumori di sottofondo, musiche di accompagnamento inquietanti. Teniamo conto che il nostro cervello continua a crescere fino a venti-ventidue anni e quello di un adolescente è, in linea di massima, più emotivo di quello di un adulto”.
In concreto, che possono fare i genitori e la scuola per proteggere i ragazzi da prodotti aggressivi e destabilizzanti? Non si dovrebbero insegnare materie che insegnino a decodificare i linguaggi audiovisivi?
“Innanzitutto, bisognerebbe proporre loro altri contenuti e altre storie. Poi, visto che siamo immersi nella comunicazione e possiamo essere raggiunti da messaggi di ogni tipo, è bene che i ragazzi imparino a decodificare i messaggi che ricevono. Devono chiedersi quali sono i reali obiettivi di chi li invia e distinguere – come già notava Aristotele – la comunicazione onesta da quella disonesta, e riflettere sulla manipolazione. Questo lavoro di ‘smontaggio’ può iniziare già nella scuola primaria, partendo dagli effetti speciali e proseguire via via fino a comprendere le strategie usate dai comunicatori professionisti”.