Una ventina di condanne per un totale di oltre 120 anni di carcere. Il Tribunale di Roma ha emesso la sentenza di primo grado nel processo nato dalla maxi-operazione “Affari di Famiglia” contro il clan Senese, che nel luglio 2020, con 28 misure cautelari, aveva smantellato il gruppo criminale di origine napoletana insediato nella Capitale fin dagli anni ’80. Le pene inflitte vanno da 16 anni e mezzo a due anni di carcere: il capoclan Michele Senese, detto Michele ‘o pazz, è stato condannato a 15 anni, suo figlio Vincenzo a 16 anni e mezzo. Condannati a sette anni, invece, la moglie di Michele Raffaella Gaglione e il fratello Angelo. È stata riconosciuta l’aggravante del metodo mafioso per i reati di usura ed estorsione: tra gli altri reati contestati dal pm della Dda di Roma Francesco Minisci c’erano riciclaggio, autoriciclaggio e trasferimento fraudolento dei valori.
Dall’indagine era emerso che, anche dal carcere, Michele Senese continuava a coordinare e gestire le attività illecite della famiglia decidendo la strategia criminale, scambiando “pizzini” con i familiari – in particolare moglie e figlio – durante i colloqui. In almeno due occasioni, addirittura, il boss si era scambiato le scarpe con il figlio Vincenzo senza farsi notare dal personale di vigilanza. Durante le udienze del dibattimento sono stati ricostruiti i flussi finanziari e sentiti diversi collaboratori di giustizia che hanno svelato le attività illecite del clan nei settori auto, ristorazione e abbigliamento, a Roma ma anche a Verona, Milano e Napoli. “Cioè, qui stiamo parlando del capo di Roma! No il capo di Roma, il boss della camorra romana! Comanda tutto lui!”, diceva uno degli arrestati riferendosi a Michele Senese, in un’intercettazione riportata nell’ordinanza del gip che aveva ordinato gli arresti.