Lo scorso 8 luglio il ventenne aveva concordato in Appello una condanna definitiva a cinque anni e quattro mesi di carcere. Per questo la Corte d'Appello ha disposto la revoca dell'obbligo di dimora in attesa della decisione sulle modalità in cui dovrà scontare il residuo della pena: la difesa chiederà l'affidamento in prova. La famiglia di Camilla Romagnoli, una delle due vittime: "Il Tribunale valuti con serietà e rigore"
Torna (momentaneamente) in libertà Pietro Genovese, il 22enne romano – figlio del regista Paolo – che la notte del 21 dicembre del 2019 investì e uccise a bordo di un suv due ragazze di 16 anni nella zona di corso Francia, guidando a 90 chilometri l’ora con un tasso alcolemico di 1,4 g/l. Lo scorso 8 luglio il giovane, imputato di omicidio stradale plurimo, aveva concordato in Appello una condanna definitiva a cinque anni e quattro mesi di carcere (in primo grado invece il gup gli aveva inflitto otto anni con rito abbreviato). Per questo la Corte d’Appello ha disposto la revoca dell’obbligo di dimora, in attesa del verdetto del Tribunale di Sorveglianza, che dovrà decidere la modalità in cui Genovese dovrà scontare il residuo della pena, circa tre anni e sette mesi (il resto è considerato “presofferto” tra custodia cautelare in carcere e agli arresti domiciliari). La sua difesa chiederà l’affidamento in prova ai servizi sociali.
“La famiglia Romagnoli, ancora affranta dal dolore, preso atto con doveroso rispetto della decisione della Corte d’Appello, si augura soltanto che il Tribunale di Sorveglianza valuti con serenità, serietà e rigore l’istanza di affidamento al servizio sociale allargato che proporrà il condannato”, affermano, tramite il legale Cesare Piraino, i familiari di Camilla Romagnoli, uccisa da Genovese insieme all’amica Gaia Von Freymann. Il tribunale di Sorveglianza, scrivono, dovà valutare “il gravoso problema se il condannato abbia serbato un comportamento tale da consentire il giudizio che l’affidamento in prova, eventualmente da concedere, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati“.
Durante l’anno e mezzo trascorso ai domiciliari, peraltro, Pietro Genovese non ha tenuto sempre una condotta irreprensibile. Nel maggio del 2020, ad esempio, è stato segnalato dai Carabinieri per gli “schiamazzi e la musica tenuta a tutto volume” provenienti dalla sua abitazione nel quartiere Coppedè dove si trovava in compagnia di amici. Il 28 luglio scorso, invece – autorizzato a recarsi in villeggiatura al Circeo – non si è fatto trovare in casa durante un controllo notturno, come gli era stato prescritto dal giudice. Nonostante ciò la Corte d’Appello aveva negato la richiesta del Procuratore generale di aggravare la misura cautelare, sostenendo che la violazione “potrebbe essere dipesa dall’orario del controllo” e comunque “potrebbe essere episodica”.