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Squid Game, a Roma diffuso un biglietto da visita come quello della serie: risponde la bambola. Ecco cos’è davvero

Dietro a quest'iniziativa non c'è un serial killer, bensì un'agenzia immobiliare che cerca nuovi dipendenti. “Quest'idea nasce da una difficoltà molto grande, ovvero quella di riuscire a trovare giovani disposti a mettersi in gioco”, racconta a FQMagazine Gianpaolo Castellani, il fondatore della società HomePlace. E aggiunge: "Vorrei che passasse questo messaggio: c'è un gruppo di ragazzi della periferia di Roma che vorrebbe assumere ma non ci riesce. Un'offerta di lavoro seria, concreta e reale non ha lo stesso richiamo di un gioco o un party. Siamo all'assurdo"

di Giulio Pasqui

Vuoi cambiare la tua vita? Partecipanti 18-35 anni”. Questo quanto si legge su biglietto da visita che centinaia di persone hanno trovato nella zona est di Roma – Alessandrino, Tor Vergata, Torre Angela – negli ultimi giorni. Cosa c’è di speciale? La grafica, che richiama il mondo di “Squid Game”. Sul lato frontale ci sono tre simboli (gli stessi presenti sulle maschere delle guardie della serie cult del momento), su quello anteriore c’è un numero di telefono. Chi ha provato a chiamarlo è stato accolto dalla voce, per niente rassicurante, della bambola della serie. Un po’ inquietante a tal punto che qualcuno si è spaventato sul serio e ha pensato a un gioco al massacro come quello di Netflix.

Tranquilli, però. Dietro a quest’iniziativa non c’è un serial killer, bensì un’agenzia immobiliare che cerca nuovi dipendenti. “Quest’idea nasce da una difficoltà molto grande, ovvero quella di riuscire a trovare giovani disposti a mettersi in gioco”, racconta Gianpaolo Castellani, il fondatore della società HomePlace. “Così abbiamo deciso di sfruttare l’onda della serie tv stampando questi bigliettini. ‘Squid Game’ dà un’opportunità a chi ha delle difficoltà, e anche noi: chi viene a lavorare con noi, lo fa perché vuole dare una svolta alla sua vita”.

I biglietti, più di mille, sono stati sparsi ovunque: per terra, vicino alle panchine, attaccati agli alberi o nei cartelli stradali. L’obiettivo? Destare curiosità, e di certo ci sono riusciti. Hanno chiamato quel numero più di 500 persone in 48 ore. “Spendiamo migliaia di euro in recluting, e invece sono bastati 100 euro per stampare mille bigliettini per entrare in contatto con centinaia di persone”. Colloqui fissati? Neanche uno. “Molti pensavano, o speravano, che fosse un gioco o una festa. Quando hanno capito che si trattava di un lavoro ci hanno riattaccato in faccia”, dice Castellani.

L’opportunità di lavorare in una giovane realtà come HomePlace non fa gola come “Squid Game”, insomma. “Noi oggi potremmo assumere 100 persone, ma non si trovano: questo è il problema. La sviluppo della mia azienda oggi è fermo perché mancano le persone. Vorrei che passasse questo messaggio: c’è un gruppo di ragazzi della periferia di Roma che vorrebbe assumere ma non ci riesce. Un’offerta di lavoro seria, concreta e reale non ha lo stesso richiamo di un gioco o un party. Siamo all’assurdo”.

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