Dalle risorse pubbliche disponibili per la cooperazione internazionale ai fondi multilaterali per il clima, fino alla finanza privata, ai crediti all’esportazione e alla Legge di Bilancio. È sfruttando queste cinque leve strategiche a disposizione che l’Italia può raggiungere la sua quota equa di 4 miliardi di dollari (3,4 miliardi di euro), sulla promessa dei 100 miliardi mobilitati all’anno dai Paesi ricchi e destinati, per le misure sul clima, a quelli in via di sviluppo. Nel report Una strategia italiana di finanza per il clima il think tank Ecco, spiega quali sono gli strumenti che permetterebbero di rispettare una roadmap che l’Italia, in occasione del prossimo vertice G20 di Roma, dovrebbe impegnarsi a presentare nel 2022, per arrivare all’obiettivo ben entro il 2025. Già cinque anni dopo la scadenza per la mobilitazione dei 100 miliardi. Gli ultimi dati Ocse (2019) segnano un divario non colmato di 20,4 miliardi. Il nuovo annuncio degli Stati Uniti di 11,4 miliardi di sola finanza pubblica bilaterale aiuta (e porterebbe il totale Usa a circa 25-30 miliardi di dollari) ma pesa l’incertezza di un voto del Congresso.

IL RUOLO DELL’ITALIA – L’Italia è l’unico Paese G7 che non ha ancora presentato il nuovo impegno (la Francia ha solo confermato la somma di 6 miliardi di euro l’anno) e anche quello più indietro finora: il divario a fine 2020 è di 800 milioni di dollari data la spesa media annuale rendicontata (2015-2019) di 500 milioni di dollari (lo 0,5% dei 100 miliardi). Il premier Mario Draghi si è impegnato a presentare un nuovo impegno prima della COP26. “Le stime disponibili per l’Italia di una ‘quota equa’ rispetto ai 100 miliardi – spiega Ecco – indicano un range dal 3,4% al 4,7%. Prendendo come riferimento una quota equa del 4% (e quindi 3,4 miliardi di euro), l’Italia raggiungerebbe il 12,5% della propria quota equa secondo la rendicontazione attuale”. Oltre a colmare il deficit, il primo passo sarebbe quello di raddoppiare nel 2022 la spesa di finanza pubblica, raggiungendo un miliardo di euro, come ha dichiarato il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani. Anche su questo punto ci si attende un annuncio di Draghi. Ma le leve sono diverse.

LA COOPERAZIONE – Ad oggi, le risorse disponibili per la cooperazione internazionale per il 2021 e il 2022 non sono esplicitamente dedicate al clima a cui, invece, secondo Ecco, dovrebbe andare una quota del 30% dell’Aiuto Pubblico per lo Sviluppo (Aps) entro il 2022, del 40% entro il 2023 e del 50% entro il 2024. Germania e Francia hanno già raggiunto livelli simili. Significa un contributo di 458 milioni di euro con l’attuale Aps (fermo allo 0,22% del reddito nazionale lordo). Se invece (con la quota clima dell’Aps al 50%) l’Aiuto Pubblico per lo Sviluppo arrivasse allo 0,5% nel 2025 e allo 0,7% al 2030 (come da obiettivo Ue) si mobiliterebbero fino a 4,5 miliardi di euro. Da soli coprirebbero la quota equa. Per il think tank è prioritario dedicare il 100% dei proventi delle aste derivanti dallo scambio delle quote di emissioni, ad oggi spartite tra Mite e Mef, per la finanza per il clima nazionale e internazionale.

I FONDI MULTILATERALI – I fondi multilaterali, in particolare quelli nati in seno alla Convenzione Onu per i cambiamenti climatici, hanno un ruolo chiave: Global Environment Facility, Green Climate Fund, Adaptation Fund e altri. L’Italia deve accelerare e incrementare i suoi contributi. Per esempio finalizzando il pagamento del primo contributo al Green Climate Fund entro il 2023 e raddoppiando il secondo (raggiungendo 600 milioni di euro). Ma il nostro Paese, ricorda Ecco, “partecipa anche ai vari rifinanziamenti delle Banche Multilaterali di Sviluppo e delle istituzioni finanziarie internazionale”. Una partecipazione ferma a 276,5 milioni di dollari nel 2019.

FINANZA PRIVATA – La mobilitazione della finanza privata attraverso l’azione di leva pubblica rimane una sfida: l’Italia ha rendicontato 61 milioni di euro tra il 2015 e il 2018. La Germania è a quasi un miliardo nel biennio 2017-2018 e la Francia già nel biennio 2014-15 mobilitava 1,2 miliardi. “È necessario rafforzare il ruolo di Cassa depositi e prestiti come Banca di sviluppo per il clima – spiega il report – attraverso una dotazione pubblica di 250 milioni di euro l’anno per un nuovo ‘Fondo per il Clima’ attraverso la Legge di bilancio o le aste”. Farlo dal 2022 significherebbe mobilitare 2 miliardi aggiuntivi di finanza per il clima al 2025. Anche Sace, l’Agenzia italiana per il credito all’esportazione, può rappresentare una leva. Tra il 2016 e il 2020 ha supportato il settore Oil&Gas attraverso 10,8 miliardi di nuovi volumi. Dovrebbe, invece, mobilitare almeno 2 miliardi l’anno in crediti e garanzie verdi, fermando gli investimenti fossili entro fine 2022. Per Ecco è anche necessario “rafforzare il ruolo di Simest (società del Gruppo Cassa depositi e prestiti) per supportare investimenti e imprese ‘verdi’”.

LA LEGGE DI BILANCIO – La quinta leva è rappresentata dalla legge di Bilancio che “dovrebbe prevedere un incremento delle risorse pubbliche dedicate alla finanza internazionale per il clima (come il nuovo “Fondo per il Clima” di Cassa depositi e prestiti)”. Le risorse arriverebbero dai sussidi ambientalmente dannosi “che annoverano 17,7 miliardi di sussidi fossili e che dovranno essere eliminati entro il 2025 in linea con l’impegno internazionale G7”. Almeno un miliardo l’anno di sussidi fossili dovrebbe essere destinato alla finanza internazionale per il clima (a partire dal 2023 e facendo leva sulla Legge di Bilancio e la riforma della fiscalità).

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