Taiwan riporta alta la tensione tra Stati Uniti e Cina, dopo che il presidente americano, Joe Biden, è tornato a parlare della crisi in corso tra la piccola isola e la Repubblica Popolare che rivendica la propria autorità su quel territorio nel nome del principio della “Unica Cina”. L’inquilino della Casa Bianca, nel corso di un dibattito trasmesso dalla Cnn, è andato dritto al punto spiegando che gli Usa difenderanno Taiwan in caso di aggressione da parte di Pechino: “Abbiamo un impegno su questo – ha chiarito – Gli stati Uniti hanno preso un sacro impegno per quel che riguarda la difesa degli alleati della Nato in Canada e in Europa e vale lo stesso per il Giappone, per la Corea del Sud e per Taiwan”. Dall’esecutivo di Xi Jinping, come è avvenuto spesso negli ultimi mesi, è arrivata una replica immediata, con un avvertimento indirizzato proprio a Washington: “Non ci sono margini per compromessi”.
Il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, parlando nel corso del briefing quotidiano ha esortato “gli Stati Uniti a rispettare seriamente il principio della ‘Unica Cina’ e i tre comunicati congiunti Cina-Usa, a essere cauti nelle parole e nei fatti sulla questione di Taiwan e ad astenersi dall’inviare segnali sbagliati ai secessionisti, in modo da non danneggiare gravemente le relazioni bilaterali, nonché la pace e la stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan”. Aggiungendo poi che su questo tema la Cina “non ha margini per compromessi sulle sue questioni vitali. Nessuno dovrebbe sottovalutare la forte determinazione, la ferma volontà e la solida capacità del popolo cinese di difendere la sovranità nazionale e l’integrità territoriale”.
Chi ha cercato di riportare la discussioni su toni meno aggressivi è stato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, al termine della ministeriale Difesa a Bruxelles, quando ha incontrato i giornalisti che gli hanno chiesto un commento sulle dichiarazioni delle due potenze mondiali. “Non ho intenzione di speculare su ipotetiche situazioni – ha affermato – È importante ridurre le tensioni nell’area e dobbiamo risolvere le controversie con mezzi politici e diplomatici”.
Ma tensioni tra i due Paesi si erano registrate già ieri, quando a prendere la parola era stato il futuro ambasciatore Usa a Pechino Nicholas Burns, recentemente nominato da Biden alla guida di una delle sedi diplomatiche più delicate per Washington: “Non possiamo assolutamente fidarci – ha detto – Per questo la priorità degli Stati Uniti è rendere Taipei un osso duro”. Burns ha anche parlato delle recenti provocazioni con incursioni di aerei da guerra cinesi nella zona aerea di Taiwan, definendole “particolarmente discutibili”. Azioni che lo hanno portato a definire quello di Pechino un governo “aggressivo nei confronti dell’India lungo il confine himalayano, del Vietnam, delle Filippine e altri nel Mar Cinese Meridionale e del Giappone, nel Mar Cinese Orientale“. Inoltre, ha poi aggiunto, “Pechino ha lanciato una campagna di intimidazione contro l’Australia e, più recentemente, contro la Lituania. Il genocidio della Repubblica popolare cinese nello Xinjiang, i suoi abusi in Tibet, il soffocamento dell’autonomia e delle libertà a Hong Kong e la prepotenza nei confronti di Taiwan sono ingiusti e devono cessare”.
E anche in questo caso la risposta cinese non si è fatta attendere, sempre per bocca di Wang Wenbin che ha condannato le parole del diplomatico statunitense: “Le sue osservazioni sono da Guerra Fredda“, ha detto aggiungendo che Taiwan, Xinjiang e Hong Kong “sono affari interni e nessuna forza straniera può interferire”.