Diciassette canzoni per analizzare se stessi senza fare sconti e in maniera diretta e cruda, non temendo di ammettere le proprie fragilità e debolezze. “Solo” è l’album più cupo di Ultimo e lo si capisce subito dalla foto di copertina dove una mano gli stringe il collo, proprio a comunicare il senso di soffocamento. Se nei dischi precedenti il cantautore ha sempre comunicato la voglia di sognare e costruire possibili mondi immaginari, stavolta si parla di salute mentale, solitudine, disperazione. Lo spiega molto bene Ultimo sul suo Instagram: “La salute mentale è stata totalmente dimenticata, mettendo al primo posto solo quella fisica. Oggi, soprattutto tra i miei coetanei, si tende a respingere il dolore ai margini di se stessi, accettando una condizione di benessere mediocre, pur di dire ‘sto bene’. – afferma – E poi che palle questa continua concorrenza tra le persone, questa sovraprestazione a cui tutti ambiscono, questo volersi a tutti i costi superare sempre. Questi mental coach che vanno tanto di moda e che ti spronano, urlandoti sempre che devi essere il numero uno e devi correre, correre, correre. Ma per andare dove? Perché questa necessità di mostrare solo le parti belle? Perché porgere solo il lato ‘meno ferito’? Si può anche dire di non sentirsi bene e il dolore e la solitudine non devono essere innominabili”. Ultimo non ha rilasciato interviste ai media – ad esclusione della promozione nelle radio – per far “parlare” solo le sue canzoni, la sua disperazione e la sua solitudine. Una precisa scelta artistica e personale.
Ma come suonano le canzoni di “Solo”? Il progetto discografico – il primo autoprodotto dalla Ultimo Records – è stato interamente scritto e composto da Niccolò Moriconi (vero nome di Ultimo, ndr) con la produzione di Federico Nardelli, Andrea Manusso e Matteo Nesi. Chi ha già ascoltato i brani usciti nei mesi scorsi, a parte il singolo “Niente”, “Tutto questo sei tu” (doppio disco di platino), “22 settembre” (doppio disco di platino), “7+3” (disco d’oro) e “Buongiorno vita” (disco di platino) si è potuto fare una idea. Per molti aspetti le canzoni di Ultimo possono “suonare” simili tra di loro, una ‘accusa’ di cui lo stesso cantautore è consapevole. Aprirsi a nuove collaborazioni? Condividere la penna anche con altri autori per descrivere i sentimenti con sfumature diverse? Impossibile. Ora più che mai. Lo si capisce ascoltando con attenzione “Solo”, un album che nasce durante “pomeriggi interminabili” di crisi, solitudine, ma anche l’impossibilità di poter cantare in quindici stadi praticamente sold out. La pandemia è entrata nelle vene di Ultimo e lo ha costretto a tracciare bilanci e a trovare risposte che forse, ad oggi, non sono mai arrivate. Stando a queste premesse sarebbe stato impossibile condividere i propri pensieri intimi con altre persone.
Cosa è cambiato allora, cosa c’è di nuovo? I contenuti. “Il bambino che contava le stelle” è uno dei tre brani “salvati” dal disco che in realtà sarebbe dovuto uscire nell’estate 2020 e che non vedrà mai la luce. È la canzone che fa da ponte tra il “vecchio” Ultimo e quello di oggi. C’è “Solo” in cui canta “oggi mi sento sparire perché non so dentro più quello che ho, è come se vivessi nei mesi passati perché adesso non ho nulla che racconterò”, tra i brani che si distaccano invece dal vecchio stile di Ultimo ci sono “Quei ragazzi”, un ritratto generazionale “irriverente e spensierato” (“Io mi sento come le risate spente dalla polizia”), “Isolamento” (“sono io che mi isolo dagli altri e provo a farlo anche da me stesso”) e “Supereroi”, brano che sarà la colonna sonora del nuovo omonimo film di Paolo Genovese con Alessandro Borghi e Jasmine Trinca la cui uscita nelle sale è prevista a Natale. Senza peli sulla lingua e un pugno nello stomaco è “Non amo”. Un elenco che non lascia spazio a fraintendimenti: “Non amo questa politica immersa nel perbenismo, le frasi che fanno effetto tipo ‘crollo, ma resisto’ (…) non amo la religione che avanza, mentre indietreggia, non amo chi fa la predica e nella testa bestemmia (…) non amo quando ritorno solo e chiudo porta a chiave, mi guardo dentro allo specchio e non so più chi sto a guardare, non amo chi mi descrive con tre parole in due pagine, non amo questi soldi, mi rendono solo fragile”. Chiude il disco il pianoforte di “2:43 am”, scritta durante il lockdown nella sua casa di campagna: “Mi chiedo perché questa vita abbia scelto poi me, mi chiedo perché vedo luce se luce non c’è”.
Alla fine la domanda è una: perché cambiare stile, mondo musicale se c’è chi corre negli stadi e ha premiato l’artista con 44 dischi di platino, 17 dischi d’oro ed il primato di cantante italiano più giovane di sempre ad esibirsi in uno stadio (“La favola”, Stadio Olimpico, 4 luglio 2019). Ultimo ha una cifra stilistica riconoscibile che lo rende trasversale. Parla di esistenza e male di vivere, temi in questi ultimi tempi attualissimi soprattutto per i contraccolpi che la pandemia ha avuto – e sta avendo – nella vita di moltissimi ragazzi ma anche adulti. “Non è un caso che io abbia chiamato questo album Solo – ha spiegato Ultimo a RTL 102.5 – perché penso che quando due persone sole si incontrano le esperienze brutte vissute da entrambe si annullano in qualche modo. Ci si sente meno soli quando si è insieme”.