Nei giorni scorsi è stata aperta un’inchiesta della Corte dei Conti sulla ben nota vicenda di un farmaco innovativo contro il Covid-19, l’anticorpo monoclonale Bamlanivimab nel dosaggio di 700 mg. Nell’ottobre 2020, nel pieno della seconda ondata pandemica, al nostro Paese furono proposte a costo zero diecimila dosi di questo medicinale. L’offerta non fu accettata allora, ma successivamente lo stesso prodotto è stato acquistato a prezzo pieno (marzo 2021).

Al tempo (29 ottobre 2020) questo medicinale non era ancora stato autorizzato dalle agenzie regolatorie; ma lo sarà solo dopo pochi giorni (il 9 novembre) dall’Fda americana, seguita a marzo da Ema, la corrispondente agenzia europea, e dalla stessa Aifa.

A mente fredda, vorremmo soffermarci qui sui dati scientifici e non su vicende giudiziarie.

1) Che cosa sono e come funzionano

Sebbene la vaccinazione rimanga il metodo migliore per la profilassi del Covid-19, gli anticorpi monoclonali possono avere un importante ruolo nel trattamento tempestivo per evitare lo sviluppo di forme gravi di malattia.

Gli anticorpi monoclonali sono proteine create in laboratorio che hanno caratteristiche simili a quelle prodotte dal nostro organismo quando incontra il virus e che si legano ad un solo antigene dell’agente che si vuole combattere. Dato che gli anticorpi monoclonali agiscono direttamente sull’agente patogeno, ma non sono in grado di stimolare il nostro sistema immunitario, la temporanea immunizzazione data dalla loro somministrazione viene detta “passiva” e può difendere in tempi rapidi un soggetto dall’attacco del virus, in quanto ciò che si è somministrato è pronto all’uso.

La somministrazione di un vaccino determina invece una “immunizzazione attiva” che stimola quindi la produzione di anticorpi da parte del nostro organismo. Per far ciò però l’organismo ha bisogno di un po’ di tempo e quindi la sua efficacia è generalmente visibile solo dopo qualche settimana.

Gli anticorpi monoclonali si chiamano così perché a differenza di quelli prodotti normalmente dal nostro corpo, i quali sono una popolazione non omogenea, sono cloni di un anticorpo particolarmente efficace. Come tutti i farmaci, hanno un rapporto rischi-benefici che può essere favorevole o meno, e come tutti i farmaci non sono sempre raccomandati.

Nello specifico, funzionano se somministrati presto (il protocollo prevede la somministrazione in pazienti non ospedalizzati entro dieci giorni dalla positività al Covid); hanno un costo non indifferente (circa un migliaio di euro, tuttavia questo spesa è paragonabile a quella di un solo giorno di ricovero); devono essere somministrati in un ambulatorio (con le difficoltà logistiche di portare pazienti positivi al Covid in ospedale) o anche a domicilio sotto stretto controllo medico, anche se questo protocollo in realtà non è ancora decollato.

Essi sono più efficaci nei primi stadi della malattia perché “neutralizzano” il virus, ma quando questo si moltiplica a dismisura gli anticorpi non sono più sufficienti: il Covid-19 grave non ha più a che fare solo con il virus in sé, ma è un’infiammazione multisistemica per la quale un farmaco antivirale non può più nulla.

2) Nella pratica clinica, questi anticorpi funzionano davvero?

Vediamo i dati. Per quanto possa sembrare strano, c’è stato chi in questi giorni lo ha messo in dubbio, definendo il Bamlanivimab “completamente inefficace”, “acqua fresca” e qualcun altro addirittura ha parlato di “prove di non efficacia”.

Innanzitutto, chiariamo che se Fda e Ema autorizzano un farmaco è perché evidenze di efficacia ci sono eccome. Mettere in dubbio questo è pericoloso perché potrebbe indurci a mettere in dubbio anche la validità dei vaccini i quali hanno già dimostrato “sul campo” la loro efficacia. A supporto di quanto asseriamo abbiamo dati clinici raccolti negli Stati Uniti, dove ne sono state somministrate circa 400mila dosi. Ecco alcuni dei risultati pubblicati:

1. 160 pazienti in residenze per anziani (età media superiore agli 80 anni) sono stati trattati con una singola dose di Bamlanivimab 700 mg e confrontati con 86 pazienti non trattati. Quelli che hanno ricevuto il farmaco hanno mostrato una mortalità del 3% (5/160 pazienti) e rispetto al 10% (9/86) di quelli non trattati (p-value = 0.0257), e risultati simili su minori ospedalizzazioni (con p-value = 0.079).

2. In un altro articolo, 201 pazienti sono stati trattati con anticorpi monoclonali (89.6% ha preso però il Bamlanivimab) e sono stati confrontati con 280 non trattati. Risultato: otto decessi nel gruppo di controllo e nessuno nel gruppo di chi invece è stato trattato. Dodici ricoverati nel primo gruppo e nessuno nel secondo.

3. In un altro studio invece è stato utilizzato sia il Bamlanivimab che altri anticorpi monoclonali su circa 2800 pazienti a minor rischio. I risultati sono significativi anche qui: minore mortalità dopo 28 giorni (da 19 a 8) e trend simile sulle ospedalizzazioni.

È importante dire che tra i vari anticorpi monoclonali, non sono state registrate significative differenze tra il Bamlanivimab 700 mg, quello offerto all’Italia a ottobre 2020, e il cocktail Casirivimab/Imdevimab, quello presumibilmente somministrato all’allora presidente americano Trump.

4. È apparsa recentemente anche una meta-analisi, cioè un’analisi critica di tutti gli studi pubblicati. I risultati sono questi: mortalità più bassa nel gruppo dei pazienti trattati con Bamlanivimab rispetto al gruppo di controllo (p-value < 0.0001), minore rischio di ospedalizzazione (p-value < 0.00001) e di sviluppare forme gravi di Covid-19 (p-value = 0.008).

In ogni caso, chi pensa che il farmaco offerto all’Italia fosse inefficace può seguire qui la pubblicazione degli studi su questo argomento e valutare in modo autonomo se davvero parliamo di “acqua fresca”.

3) Quanti decessi si sarebbero potuti risparmiare con diecimila dosi offerte a costo zero?

Considerando la riduzione di rischio riportata nel primo articolo nei pazienti ultraottantenni, la proporzione su diecimila dosi ci porta il valore di 732 vite umane. Persino nel caso di pazienti a minor rischio, lo studio indica che si sarebbero salvati 11 pazienti su 2800, quindi la proporzione ci dice 40 vite umane che avremmo potuto salvare con diecimila dosi. Certo, non avremmo potuto salvare tutti, ma 40 vite umane non sono poche tenendo conto che il farmaco era offerto.

Consideriamo inoltre che se l’Italia avesse accettato di iniziare il trial pragmatico nell’ottobre 2020, la fornitura, seppur a pagamento, non sarebbe stata interrotta, e possiamo dunque ipotizzare molte più vite salvate, fintanto che le nuove varianti non avessero preso il sopravvento dopo qualche mese. Il farmaco, tra l’altro, era prodotto addirittura in Italia, vicino Latina, e poi mandato all’estero.

Nella primavera del 2021, prima in alcuni stati americani e successivamente in Europa, l’autorizzazione per il Bamlanivimab 700 è stata revocata. Ma non certo perché fosse “inutile”, bensì perché si è rivelato inefficace verso le nuove varianti, come ad esempio la variante delta. E anche perché sono stati sviluppati altri farmaci maggiormente efficaci.

Attenzione però: il Bamlanivimab 700 mg era efficace sia verso il ceppo originale del virus che verso la variante alfa, la cosiddetta “variante inglese”, che è stata predominante (oltre il 90% dei casi) in Italia fino a giugno 2021.

Questi sono i dati scientifici. Mesi fa sono state presentate due interrogazioni parlamentari: alla Camera a prima firma mia e al Senato della collega Maria Domenica Castellone.

Le vite umane che potevano essere salvate e le famiglie di queste persone meritano delle risposte, risposte che noi cercheremo perché riteniamo che anche una sola vita umana salvata sia una grande conquista, così come una sola vita umana persa sia una grande sconfitta.

Questo post è stato scritto in collaborazione con la dottoressa Maria Domenica Castellone, ricercatrice presso il Cnr e Senatrice M5s.

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