Si tratta di una procedura richiesta da Banca d'Italia per un pagamento relativo alla società Fnmpay, del gruppo Ferrovie Nord controllato al 57,7 per cento dal Pirellone. Il governatore ha quindi dovuto lasciare l'aula e hanno votato i suoi assessori
Indagato per il pasticciaccio brutto dei camici per cui la procura di Milano ha chiuso l’indagine il 27 luglio scorso, Attilio Fontana ieri si è trovato nell’imbarazzante situazione di dover lasciare l’aula dove la giunta regionale della Lombardia doveva approva i “requisiti di correttezza ” del presidente della Regione richiesti da Banca d’Italia per un pagamento relativo alla società Fnmpay, del gruppo Ferrovie Nord controllato al 57,7 per cento dal Pirellone. Il governatore ha quindi dovuto lasciare l’aula perché indagato.
Come riporta La Repubblica sono stati quindi i suoi assessori a dare il via libera alla delibera. Sostenendo, tra l’altro, che “sulla base delle informazioni acquisite, che allo stato, nella complessiva inchiesta sul cosiddetto “caso camici” non risulta oltrepassata neppure la soglia della fase processuale, che presuppone l’esercizio dell’azione penale”. Solo quando i pm chiederanno il rivio a giudizio lo status giuridico passerà da quello di indagato a quello di imputato. Secondo la procura di Milano gli altri indagati hanno anteposto “all’interesse pubblico, l’interesse e la convenienza personali del Presidente di Regione Lombardia“. Fontana, il cognato Andrea Dini (con la sua società dama), Filippo Bongiovanni (ex dg di Aria) e una dirigente della centrale acquisti regionale rispondono di frode in pubbliche forniture, come Pier Attilio Superti, vicesegretario generale della Regione, nuovo indagato. Per l’accusa ci fu un “accordo collusivo intervenuto” tra Andrea Dini, patron di Dama spa, “e Fontana”, suo cognato, “con il quale si anteponevano all’interesse pubblico, l’interesse e la convenienza personali del Presidente di Regione Lombardia“, il quale da “soggetto attuatore per l’emergenza Covid” si “ingeriva nella fase esecutiva del contratto in conflitto di interessi” sull’ormai nota fornitura trasformata in donazione. E ancora: la “frode” nella pubblica fornitura di camici e altri dpi, contestata dalla Procura di Milano, venne messa in atto “allo scopo di tutelare l’immagine politica del Presidente della Regione Lombardia Fontana, una volta emerso il conflitto di interessi derivante dai rapporti di parentela” con Andrea Dini, titolare di Dama spa, società di cui la moglie di Fontana, Roberta Dini, aveva una quota del 10%.
E così ieri il voto che senza Fonata che “si assenta durante la trattazione e approvazione della presente deliberazione, ai sensi del sopracitato articolo art. 4, 8 comma del richiamato dal Regolamento”. Per il consigliere regionale del Pd Pietro Bussolati “è certamente un fatto imbarazzante che il presidente debba stare fuori dalla porta della sala di giunta mentre i suoi assessori garantiscono per la sua onorabilità, come se potessero fare altrimenti”.