L'attore dovrà adesso raccontare cosa vide sulla nave quando portò cibo e acqua. Dovranno testimoniare, tra gli altri, anche l’ex presidente Giuseppe Conte, e i ministri Luciana Lamorgese e Luigi Di Maio, gli ex ministri, Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta, il prefetto di Agrigento, Dario Caputo, l’ambasciatore, Maurizio Massari
La spettacolarizzazione ci sarà. Saranno in tanti a sfilare al processo contro Matteo Salvini per il caso Open Arms e tra questi anche l’attore americano Richard Gere, ammesso tra i testimoni. Nei giorni di impasse, in cui la Open Arms restava al largo della costa di Lampedusa senza l’autorizzazione allo sbarco, nell’agosto del 2019, Gere salì, infatti, a bordo della nave spagnola per portare viveri ai migranti. Dovrà adesso raccontare cosa vide, nonostante i tentativi del capo della procura di Palermo, Francesco Lo Voi, di contenere l’ondata mediatica del processo: “Al di là degli elementi di spettacolarizzazione della presenza di un attore famoso – ha detto Lo Voi – ci sono ben altri e ben più qualificati testi che possono riferire sulle condizioni a bordo della nave”.
“Ditemi voi quanto è serio un processo in cui verrà da Hollywood Richard Gere a testimoniare sulla mia cattiveria. Spero duri il meno possibile le perché ci sono cose più serie di cui occuparsi”, così Salvini ha commentato al termine dell’udienza. Oltre Richard Gere, il presidente della seconda sezione del Tribunale di Palermo ha ammesso tutti i testimoni presentati dalla procura, dalle parti civili (22 in tutto) e dalla difesa di Salvini, affidata a Giulia Bongiorno: all’uscita dell’udienza tra le varie liste che elencano anche testimoni in comune se ne contano addirittura una cinquantina. Dovranno testimoniare, tra gli altri, anche l’ex presidente Giuseppe Conte, e i ministri Luciana Lamorgese e Luigi Di Maio, gli ex ministri, Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta, il prefetto di Agrigento, Dario Caputo, l’ambasciatore, Maurizio Massari. Ammesso anche l’interrogatorio dello stesso Matteo Salvini, richiesto dall’accusa.
Si apre così il processo all’ex capo del Viminale. Un’udienza all’aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo durata meno di tre ore ma che ha visto nascere l’ossatura di quello che sarà il dibattimento che vede Salvini sul banco degli imputati. Banco che Bongiorno prova in qualche modo ad allargare, quando annovera le richieste dei documenti da acquisire, infatti, si lamenta di non essere riuscita ad ottenere gli atti di alcune indagini in corso a carico di Ong. La senatrice della Lega, e avvocata di Salvini, menziona le inchieste di Trapani e di Ragusa (questa in fase preliminare), e fa specifico riferimento ai presunti interessi economici delle Ong sui salvataggi. Un modo per rilanciare la palla dall’altro lato del campo, nonostante “non siano indagini che riguardano Open Arms”, ha sottolineato Lo Voi. Ma non solo, di recente la procura di Agrigento ha chiesto l’archiviazione per l’indagine che riguardava Mare Jonio (la nave di Mediterranea Saving Humans, sotto indagini dalla procura di Ragusa per un altro episodio), e il gip di Agrigento ha deciso per il proscioglimento della Sea Watch. Ciò nonostante, il processo a Salvini si prospetta come un’occasione per puntare il dito sulle Ong e le operazioni di salvataggio in mare: “Non prendo lezioni da comandanti di navi che si sentono al di sopra delle leggi. Ci sono sicuramente dei motivi economici, in Italia ci sono diverse inchieste sui soldi che le Ong guadagnano con questa loro attività”, ha detto, infatti, il leader del Carroccio al termine dell’udienza. E ha continuato: “Una nave spagnola che rifiuta di andare in Spagna compie un abuso. Una nave italiana che pretendesse di entrare in un porto spagnolo ovviamente creerebbe problemi in Spagna. Io facevo il ministro in Italia, e conto di tornare a fare il ministro in Italia, quindi le navi spagnole vanno in Spagna”.
Ed è qui che si snocciola il dibattimento: secondo la difesa l’Italia non aveva la competenza per assegnare il Place of Safety (il porto sicuro per lo sbarco), c’erano notizie dei servizi segreti su possibili infiltrazioni terroristiche, ovvero argomenti validi per non concedere lo sbarco. È infatti tutto intorno all’assegnazione del Pos che è impostata l’accusa della Procura di Palermo che ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio. Il Place of safety, il luogo sicuro di attracco che Salvini, in qualità di ministro dell’Interno, si rifiutò di concedere, l’accusa della procura di Palermo punta il dito in particolare su questo punto. Un atto amministrativo e non politico, in seguito al quale si configura il secondo reato di sequestro di persona. Un rifiuto andato oltre la pronuncia del Tar del Lazio che aveva dichiarato illegittimo il provvedimento ministeriale che aveva disposto il divieto di accesso per la nave.
I fatti riguardano l’agosto del 2019, quando la nave battente bandiera spagnola, noleggiata dalla Ong ProActiva – Open Arms, ha atteso in mare aperto con 147 migranti a bordo l’indicazione di un Pos dall’1 al 20 agosto. Ma è soprattutto dal 14 che secondo l’accusa sostenuta dal capo della procura Francesco Lo Voi, si configurano i reati contestati: “Solo a partire dal 14 agosto – ha detto Lo Voi durante l’udienza preliminare – si verifica il venir meno della legittimità di quel provvedimento di blocco di accesso nelle acque territoriali italiane della Open Arms (a seguito della decisione del Tar del Lazio che sospese il divieto di accesso, ndr), in conseguenza del quale la Open Arms entra nelle acque territoriali italiane, com’è stato ricordato, legittimamente, aumentando. Che esisteva anche prima ma di sicuro non poteva non esistere a partire dal 14 agosto. A partire da questa data l’obbligo di rilascio del Pos è consacrato, anche per effetto delle condizioni di salute dei migranti che si buttavano a mare vedendo la costa là di fronte”. Lo sblocco avvenne solo dopo che il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, dopo un’ispezione a bordo della nave, dispose il 20 agosto il sequestro dell’imbarcazione, permettendo lo sbarco di tutti i naufraghi. Eventi che saranno adesso ripercorsi in tribunale a Palermo, anche con le testimonianze – richiesta dai legali della Open Arms – dei giornalisti Nancy Porsia e Nello Scavo, che si stavano occupando degli sbarchi in Libia e della attività delle Ong, e per questo sono stati intercettati dalla procura di Trapani per un’indagine sul favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.