L'organizzazione ambientalista e il gruppo di cittadini avevano diffuso il 20 settembre i dati relativi alla presenza di sostanze perfluoroalchiliche in ciò che viene consumato in una vasta zona che si estende nelle province di Vicenza, Verona e Padova. Francesca Russo, direttore della Prevenzione, sicurezza alimentare e veterinaria della Regione del Veneto, in un'intervista ha ammesso i ritardi e ha annunciato che sono partite le analisti delle acque di abbeveraggio e delle uova
Greenpeace e Mamme No Pfas devono battere un altro colpo perché la Regione Veneto, accusata di un colpevole silenzio sul fronte di uno dei più gravi inquinamenti idrici e alimentari, dia l’annuncio che effettuerà controlli su acqua, uova, verdura e animali. L’organizzazione ambientale e il gruppo di cittadini veneti che si sono costituiti in comitato da alcuni anni avevano diffuso il 20 settembre i dati relativi alla presenza di sostanze perfluoroalchiliche in ciò che viene consumato in una vasta zona che si estende nelle province di Vicenza, Verona e Padova. Una denuncia gravissima e basata sulla documentazione che la Regione era stata costretta a consegnare lo scorso aprile per decisione del Tar Veneto, visto che in precedenza erano stati tenuti segreti. Per alcuni mesi i documenti, finalmente diffusi e relativi al monitoraggio effettuato nel 2016-17, sono stati analizzati, consentendo di creare una prima mappa di prodotti contaminati e di zone maggiormente a rischio.
Anche le richieste dei consiglieri regionali alla giunta Zaia, di mettere a disposizione tutto il materiale, finora non hanno avuto risposta. E così Greenpeace e Mamme No Pfas sono dovuti uscire allo scoperto un’altra volta, con un nuovo comunicato e con l’inserimento in rete di un aggiornamento della mappa dell’inquinamento alimentare. E finalmente da Venezia è venuta una risposta: le analisi attese da quattro anni si faranno.
“È paradossale che ancora una volta siano Greenpeace e le Mamme No Pfas a condurre un’operazione di trasparenza e accessibilità alle informazioni mentre la Regione continua a trincerarsi dietro un silenzio assordante” è scritto nel documento. “Le popolazioni che da decenni convivono con livelli allarmanti di sostanze chimiche – non solo nell’ambiente in cui vivono, ma anche nel loro corpo – hanno il diritto di sapere a cosa vanno incontro mangiando gli alimenti provenienti dalla ‘zona rossa’”. Si tratta dei Comuni dove gli acquedotti pescano direttamente nella falda contaminata dai prodotti chimici che si ritengono siano stati rilasciati nel sottosuolo dalla Miteni di Trissino, i cui titolari sono sotto processo a Vicenza. “Lo stesso discorso – continua la denuncia ambientalista – vale per tutte le altre persone, italiane e straniere, che, in modo inconsapevole, potrebbero ancora oggi consumare decine di alimenti con elevati livelli di Pfas per colpa dell’inerzia istituzionale. Il presidente Zaia, che si è sempre dichiarato attento alla questione, non interviene e di fatto continua ad avallare il comportamento opaco e omissivo della Regione: una mancanza inaccettabile proprio da parte di quelle istituzioni che dovrebbero tutelare la salute della popolazione”.
Analizzando i risultati risalenti a quattro anni fa sarebbero “emersi numerosi aspetti poco chiari legati, tra l’altro, all’assenza di alcuni alimenti tra le matrici analizzate (ad esempio meloni, angurie, mele e altri vegetali a foglia larga) e alla poca chiarezza sui criteri geografici che hanno guidato la scelta dei campioni da analizzare. Inoltre, dai dati ricevuti non è possibile individuare eventuali legami con filiere agricole e zootecniche che vendono i propri prodotti sul mercato nazionale e straniero”. Come non bastasse, la Regione avrebbe effettuato una “consegna parziale dei risultati: a fronte di 1.248 alimenti analizzati, sono stati forniti solo gli esiti delle indagini su 908 campioni, con solo pochi dati riferiti al pescato”. Per questo l’annuncio di una nuova istanza di accesso agli atti in Regione, con lo scopo di colmare la lacuna.
Dopo un attacco così diretto, Venezia non poteva non rispondere. Lo ha fatto attraverso Francesca Russo, direttore della Prevenzione, sicurezza alimentare e veterinaria della Regione del Veneto, che in un’intervista ha ammesso i ritardi. “Un primo monitoraggio era stato attuato a partire dal 2017 e aveva riguardato la popolazione e l’acqua dei pozzi”. Nel 2019 la giunta regionale aveva deciso di far eseguire nuovi controlli. Non se n’è fatto nulla. Adesso pare che la struttura si sia stia mettendo in moto, coinvolgendo Istituto superiore di sanità, Istituto Zooprofilattico, Arpav e Ulss. “Negli ultimi mesi – dice la dottoressa Russo – abbiamo ripreso le riunioni settimanali con gli enti coinvolti, anche se non alla velocità che vorremmo, purtroppo siamo ancora alle prese con l’emergenza coronavirus. Siamo partiti con l’analizzare le acque di abbeveraggio, poi le uova e, entro l’anno, passeremo ai controlli degli allevamenti animali. Da inizio 2022 toccherà ai supermercati. Per quanto riguarda i vegetali procederemo a seconda della stagionalità”.