Scienza

Ho conosciuto la malattia Cmt e per questo vi dico: sosteniamo i ricercatori sul campo

Questa volta esco dal mio seminato, ossia la musica e le discipline umanistiche. In accordo con la gentile redazione de ilfattoquotidiano.it sconfino nella neurologia, una branca della medicina che seguo da sempre con interesse. Me lo suggerisce il caso di un caro amico, affetto da una patologia che per anni non è stata riconosciuta, indi ha dato luogo a diagnosi fuorvianti, infine, da pochi mesi, è stata individuata nella sua fattispecie.

La salute non è mai scontata: ci sembra normale camminare, respirare, digerire, evacuare, vedere, udire, masticare, parlare, scrivere e via dicendo, ma non è così. Basta un nulla per mettere in crisi, o perfino pregiudicare, la nostra esistenza: una semplice cellula che all’improvviso impazzisce, un virus che si insinua nell’organismo, una minuscola proteina prodotta in quantità maggiore o minore del dovuto nel nostro Dna. Tutto a un tratto chi scoppia di salute si trova a lottare per guarire o, addirittura, per non soccombere. L’essere umano palesa allora tutta la sua drammatica precarietà.

Fra le tante malattie che colpiscono il genere umano ce n’è di ben studiate e ormai curabili, altre invece poco conosciute e tuttora senza cura. Ce n’è una, ad esempio, definita ‘rara’, ma diffusa più di quanto non si pensi (almeno 300 mila persone in Europa), per la quale mancano ancora le cure farmacologiche: è la malattia di Charcot-Marie-Tooth, detta in gergo Cmt. Deve il nome, anzi i tre cognomi, ai medici che per primi la descrissero, Jean-Martin Charcot, Pierre Marie e Howard Henry Tooth, nel 1886.

È la più diffusa fra le neuropatie genetiche ereditarie: colpisce i nervi periferici che veicolano l’impulso nervoso dal midollo spinale ai muscoli, trasmettendo il messaggio dal cervello agli arti, e ricevono informazioni dagli organi di senso. Ne risentono dunque gambe, piedi, braccia e mani, che pian piano perdono forza. È dovuta all’alterazione di uno dei numerosi geni, alcuni non ancora noti, coinvolti nella corretta genesi e funzionamento del nervo. È trasmessa da un genitore, che può non sapere di esserne affetto in quanto non avverte sintomi evidenti o non ha ricevuto una diagnosi adeguata; ma in qualche caso può sorgere de novo, ossia per mutazione spontanea di un gene.

Può manifestarsi a qualsiasi età, dal bambino all’anziano, e ha di solito progressione lenta, solo in pochi casi è rapida per poi rimanere stazionaria per qualche decennio. Non conduce alla morte, ma può essere talvolta parecchio invalidante: difficoltà di deambulazione più o meno accentuata, problemi di equilibrio e di sensibilità, tremore e debolezza alle mani, piede cadente, atrofia muscolare, intorpidimento, stanchezza cronica, eccetera. Il tutto con importanti riflessi sulla qualità della vita. Singolarmente presi, questi sintomi rischiano di venir ricondotti ad altre patologie più diffuse, e in tal modo si elude il riconoscimento della specifica affezione. Per questa ragione giova elevare e propagare il livello di consapevolezza sia nella cittadinanza sia negli operatori sanitari.

A questo scopo la Federazione europea Cmt (o Ecmtf) ha lanciato a ottobre, in dieci Paesi, la quinta campagna d’informazione, che ha interessato Regno Unito, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Italia, Spagna, Germania, Austria, Romania e Israele, mediante webinar e video per far riflettere sulla diagnosi e sulla vita con la Cmt.

L’Associazione italiana Acmt-Rete, che ha sede a San Lazzaro di Savena, cittadina alle porte di Bologna, è stata coinvolta in prima linea. Iniziativa importante è “Dillo al tuo Medico!”: pazienti, volontari e sostenitori sono incoraggiati ad attirare l’attenzione del proprio medico curante sull’ipotesi che certi disturbi possano derivare per l’appunto da una Cmt non riconosciuta. Non tutti i medici infatti ne sono edotti: anzi, dice Donatella Esposito, presidente di Acmt-Rete, “i pazienti incontrano molte difficoltà nell’ottenere una diagnosi, trattandosi di una malattia rara e poco (ri)conosciuta, e nel ricevere un adeguato trattamento riabilitativo; poiché la Cmt non ha un piano dedicato (Pdta), gli ammalati hanno diritto a pochissimi cicli riabilitativi all’anno, a fronte della necessità di una riabilitazione continuativa”.

Non vanno sottovalutate molte altre difficoltà, continua la Presidente, come “il riconoscimento dei diritti e dei benefici di legge: la malattia non è presente nelle datate linee guida Inps per la determinazione delle percentuali di invalidità civile, la valutazione è affidata alla commissione medica, che spesso riconosce percentuali risibili, e nega lo stato di handicap grave (L. 104/92, art. 3 comma 3)”.

Va sottolineato che, allo stato attuale, la terapia riabilitativa è lo strumento fondamentale per contenere la progressione della malattia, dunque insostituibile; essenziali sono anche gli ausili per la deambulazione; in certi casi, poi, per correggere le deformità di piedi e mani è consigliata la chirurgia. Molte ricerche e sperimentazioni sono in corso. Per la Cmt1A, il tipo più diffuso, la sperimentazione farmacologica è molto avanzata (fase 3); promettenti sono le ricerche sulla terapia genica; e, last but not least, suscita grandi speranze lo studio sui motoneuroni (neuroni del movimento) da cellule staminali: potrebbe portare a trattamenti per la Cmt2 e altre forme correlate.

Insomma, dieci anni fa nessuno avrebbe puntato un centesimo sulla cura. Oggi si può prevedere che essa possa arrivare in un futuro prossimo. Vanno pertanto sostenuti i ricercatori che s’impegnano nel campo. In questo senso l’Associazione Acmt-Rete svolge un compito prezioso.