Michele Cicora, 69 anni, ha pochi ricordi del genitore scomparso l'8 agosto del 1956. In Belgio i cadaveri non riconosciuti si chiamano “Inconnu” e si trovano nel cimitero subito dietro Bois du Cazier, la miniera di Charleroi teatro dell'episodio
“Ho fatto una promessa a mia madre: dovrò trovare i resti di mio padre morto a Marcinelle”. Michele Cicora, 69 anni, professore a Londra ma pugliese di origini, vede i primi frutti della sua battaglia per cercare la verità su suo padre, morto nella miniera di Marcinelle nella tragedia dell’8 agosto di 65 anni fa, quando sottoterra persero la vita 262 persone, di cui 136 italiani. Tra questi c’era Francesco, suo padre. “Io avevo 4 anni, ho solo qualche ricordo di lui. Da qualche anno sto cercando di trovare i resti di mio padre attraverso la riesumazione dei 17 corpi rimasti senza nome perché mai riconosciuti”.
In Belgio li chiamano “Inconnu” e si trovano nel cimitero subito dietro Bois du Cazier, la miniera di Charleroi oggi diventata un museo che raccoglie centinaia di visitatori l’anno. Tra l’erba verde e il grigio del cielo, quelle tombe senza nome sono ormai usurate dal tempo, in un silenzio che non rende loro onore: “Sono riuscito a contattare alcune fra le famiglie rimaste senza i loro cari. È giusto ricostruire ognuna di queste storie”. Dopo una lunga serie di vicissitudini burocratiche durate anni e qualche ostacolo incontrato, finalmente la promessa di Michele ha raggiunto l’obiettivo: le salme sono state riesumate ed è stato prelevato un campione dai resti al fine di arrivare al Dna e collegarlo a quello dei parenti. “Tutte le bare sono state disseppellite e sembravano in buono stato perché avevano un rivestimento in zinco – racconta Cicora – Tutte le istituzioni si stanno comportando con un alto grado di solidarietà perché hanno capito il dramma dei parenti delle vittime”. Tra questi ci sono altri italiani e tutte le loro famiglie sono state contattate da Michele Cicora che finalmente vede il traguardo: tanti sono abruzzesi, molti addirittura arrivano da un unico paese, Lettomanoppello, altri pugliesi e molisani, ma anche siciliani, tutte zone “vittime” dell’assurdo patto Italia-Belgio (celebrato addirittura quest’anno per il 75esimo anniversario) che illuse molti minatori italiani, trasferitisi in Belgio per cercare migliore fortuna, in cambio di un sacco di carbone per il governo italiano. Tra tutti i morti nella tragedia, i cui nomi vengono scanditi a ripetizione in una sala del museo, i 17 mai riconosciuti sono Pietro Basso, Pompeo Bruno, Rocco Ceccomancini, Edmondo Cirone, Eligio Di Donato, Dante Di Quilnio, Pasquale Ferrante, Michele Granata, Francesco Martinelli, Secondo Petronio, Eduardo Romasco, e altri di diverse nazionalità: François Allard, Oscar Pellegrims, Reinhold Heller, Ammar Belamri, Nikolaos Katsikis”.
Grazie al Dna, con gli attuali strumenti tecnologici, sarà finalmente possibile riconsegnare la memoria alle vittime e alle loro famiglie che adesso potranno porre un fiore sulla tomba dei loro cari. Questo accade nell’anno delle grandi celebrazioni per il sessantacinquesimo anniversario della tragedia, un evento molto sentito a Charleroi, dove ancora oggi tanti italiani vivono a pochi passi dalla miniera, in vecchie case un tempo usate dai minatori. La riesumazione delle salme ha portato molti a recarsi nel museo-miniera ad osservare un caso di cui si sta occupando la stampa belga e quella internazionale, mentre Michele Cicora attende con ansia di realizzare la promessa fatta a sua madre prima di morire.