In questi giorni fa molto discutere un articolo in prima pagina del giornale Il Tempo intitolato “Morti di tutto non di Covid”. L’articolo parla di un “clamoroso” rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità sui decessi della pandemia affermando che “secondo il campione statistico di cartelle cliniche raccolte dall’istituto solo il 2,9% dei decessi registrati dalla fine del mese di febbraio 2020 sarebbe dovuto al Covid-19. Quindi… tutti gli altri italiani che hanno perso la vita avevano da una a cinque malattie che secondo l’Iss dunque lasciavano già loro poca speranza”.
Il rapporto dell’Iss [qui il link al documento originale], in realtà, non dice nulla di tutto ciò. Non dice che “solo il 2,9% dei decessi sarebbe dovuto al Covid-19” e non scrive che le persone che hanno perso la vita “avevano già poca speranza”. Infatti, i dati epidemiologici spiegano tutt’altro: la malattia Covid-19 ha causato un incremento di mortalità senza precedenti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in Italia, negli Stati Uniti, nel Regno Unito e molti altri paesi Europei. Inoltre, non c’è nulla di clamoroso nei dati Iss: sappiamo da quasi due anni che alcuni fattori di rischio come l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito tipo 2, le cardiopatie ischemiche giocano un ruolo importante nei decessi causati dal virus. Scrivere che tali soggetti deceduti “avessero già poca speranza” è imbarazzante: un’analisi condotta da scienziati scozzesi ha dimostrato che i maschi morti di Covid-19 avrebbero vissuto in media ulteriori 14 anni, mentre le donne sarebbero vissute in media altri 12 anni. Uno studio più recente condotto su 81 paesi, invece, ha stimato un totale di 16 anni di vita persi.
L’articolo de Il Tempo è l’apice di una serie impressionante di infondatezze e notizie false propagate dai giornali, tv e social media sul tema dall’inizio della pandemia. Ricordo ad esempio Ilaria Capua che in un’intervista affermò: “State sereni. Non capisco mai chi muore con il Coronavirus o per causa del Coronavirus… quante sono le persone che sono morte soltanto a causa del coronavirus? Va bene. Fino a ieri, sapete quant’erano? Due”. Matteo Bassetti affermava: “In Italia nessuno è mai morto di coronavirus”, mentre per Maria Rita Gismondo erano “fuorvianti i numeri sui morti da Covid-19”. Anche Stefano Montanari spiegava: “L’Istituto superiore di Sanità dice che i morti accertati per Coronavirus sono 3”. Queste affermazioni totalmente deprivate di evidenza venivano puntualmente smentite già il 28 marzo, 2020, quando l’Istat pubblicò i dati di mortalità di 1084 comuni Italiani presi a campione al fine di confrontare i decessi accaduti dal primo marzo al 28 marzo 2019 rispetto a quelli accertati dal primo marzo al 28 marzo 2020.
Anche il professore emerito dell’Università di Padova e ora Presidente dell’Associazione Italiana Farmarco (Aifa) Giorgio Palù analizzava la letalità Covid-19 dicendo: “Oscilla tra lo 0,3% e lo 0,6%, vuol dire una letalità relativamente bassa, più bassa di altre malattie infettive, sicuramente più bassa degli incidenti stradali, dei suicidi”. A fare da cassa di risonanza di tali imprecisioni tecniche hanno contribuito anche politici come Vittorio Sgarbi “i numeri dei morti in Italia sono gonfiati!” e artisti come Andrea Bocelli “conosco tanta gente, ma non conosco nessuno che sia andato in terapia intensiva”. E poi ancora Bassetti, in piena seconda ondata al programma La7 L’aria che tira spiegava: “Abbiamo sbagliato a contare i decessi, anche chi aveva un infarto con un tampone positivo veniva registrato come morto per Covid”. In realtà, analisi serie sull’eccesso di mortalità causato dalla Covid-19 in Italia pubblicate sulla rivista JAMA hanno confermato che i decessi accertati dovuti al coronavirus sono stati ampiamente sottostimati.
Chi ha diffuso scetticismo sui dati di mortalità in relazione alla malattia Covid, la famosa questione “morti con o per coronavirus”, ha gravi responsabilità nei confronti della cittadinanza e dei famigliari delle vittime della pandemia. La premessa che si sia creato molto rumore per nulla, o addirittura, come osservato dal filosofo Giorgio Agamben, che la pandemia non sia altro che un’invenzione, uno stato di paura, un pretesto usato per limitare le nostre libertà e democrazia, è un’argomentazione che non raggiunge il livello della pietà.
Urgono corsi di formazione in biostatistica ed epidemiologia per combattere l’analfabetismo disfunzionale in salute pubblica di giornalisti, politici, personaggi pubblici ed esperti che diffondono disinformazione e discutono di dati e analisi quantitative senza prendersi la briga di capirli e interpretarli correttamente.